CGIA Mestre, evasione fiscale: cashback e lotteria degli scontrini sono stati un flop
- di: Barbara Leone
Non ci voleva maga Magò per prevederlo, ma solo un pizzico di sano buon senso. Adesso arriva anche l’autorevole conferma dell’Ufficio Studi CGIA Mestre, Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre: contro l’evasione fiscale il cashback e la lotteria degli scontrini sono stati un sonorissimo flop. O meglio, non hanno prodotto i risultati sperati. Nate per combattere l’evasione fiscale, almeno quella legata all’omessa fatturazione, queste misure semplicemente non hanno funzionato. Tant’è vero che il cashback è stato addirittura archiviato dal governo Draghi che, a partire dal giugno 2021, ne ha sospeso l’applicazione. Innanzitutto perché non è emersa una evidente relazione causale tra gli incentivi previsti dal cashback e la diminuzione dell’evasione fiscale. E poi perché il gioco non valeva la candela, ovverosia i risultati erano talmente esigui da non giustificare lo spropositato esborso di danaro da parte dello Stato: ben 4,75 miliardi di euro. Discorso simile anche per la lotteria degli scontrini entrata in vigore il primo febbraio dell’anno scorso, che tra l’altro non ha riscosso un gran successo tra i contribuenti/consumatori che se non l’hanno snobbata poco ci manca. Stando ai dati dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, infatti, se a marzo del 2021 gli scontrini mensili associati alla lotteria avevano sfiorato il picco massimo di 25 mila unità, successivamente c’è stata una costante contrazione sino ad arrivare allo scorso autunno quando il numero mensile è sceso poco sopra le 5mila unità. Roba che Zagarolo di abitanti ne conta 18mila, giusto per farsi un’idea.
Per combattere l’evasione, osserva giustamente CGIA, basterebbe saper utilizzare le 162 banche dati a disposizione del fisco che riportano fedelmente la capacità reddituale, i consumi e il livello di ricchezza di ogni italiano. In altre parole, al fisco le informazioni sui contribuenti italiani certamente non mancano. Quotidianamente l’Amministrazione finanziaria riceve e cataloga miliardi di informazioni, ma ne riesce ad utilizzare solo una minima parte per contrastare l’evasione fiscale. E’ vero che a breve queste banche dati dovrebbero cominciare a dialogare fra loro, ovvero ad essere interoperabili. Tuttavia, se ogni anno il popolo degli evasori sottrae al fisco 105 miliardi di euro e i nostri 007 riuscivano a recuperarne, nel periodo pre Covid, tra i 18 e i 20, vuol dire che, potenzialmente, sappiamo vita, morte e miracoli su chi è conosciuto al fisco, mentre brancoliamo nel buio nei confronti di chi non lo è, con il risultato che l’evasione prospera, penalizzando oltremisura chi le tasse le paga fino all’ultimo centesimo. Oltre alle 162 banche dati fiscali, però, esistono altri strumenti a diposizione dell’Amministrazione finanziaria per combattere l’evasione delle imposte. Strumenti che poi negli ultimi anni sono aumentati a dismisura. E difatti l’elenco è lunghissimo: abolizione del segreto bancario; anagrafe dei rapporti finanziari costituita tramite il periodico invio all’Anagrafe tributaria dei saldi dei rapporti finanziari dei contribuenti; con 22 mila segnalazioni al secondo, Serpico, super cervellone in capo alla SOGEI, riceve innumerevoli informazioni raccolte dai contribuenti (pagamenti, movimentazioni bancarie, etc.).
L’Agenzia delle Entrate utilizzerà anche tecnologie avanzate per elaborarle, sfruttando le interconnessioni tra i dati contenuti nell’Anagrafe dei rapporti finanziari e le altre banche dati di cui dispone; obbligo di comunicare mensilmente all’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) le movimentazioni di denaro contante di importo pari o superiore a 10.000 euro; Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ex studi di settore); redditometro (accertamento sintetico sulla base del confronto tra reddito dichiarato e spese sostenute); metodologie di controllo delle PMI e dei lavoratori autonomi; 8)117 (numero di pubblica utilità della Guardia di Finanza); 9) trasmissione telematica dei corrispettivi all’Agenzia delle Entrate; 10) fattura elettronica; split payment nel caso di fatturazione verso le Pubbliche Amministrazioni, sono queste che trattengono l’Iva e la versano direttamente all’erario; reverse charge meccanismo in base al quale è l’acquirente o il committente a versare l’Iva; limite all’utilizzo del contante pari a 1.999 euro; obbligo di pagamento con strumenti tracciabili degli oneri detraibili ai fini Irpef (ad eccezione delle spese sanitarie) per poterle detrarre nella dichiarazione dei redditi; controllo automatizzato delle dichiarazioni fiscali e del corretto assolvimento dell’imposta di bollo; in caso di lavori superiori a 200.000 euro, i committenti hanno l’obbligo di verificare il corretto versamento delle ritenute dei dipendenti delle imprese appaltatrici; ritenuta d’acconto operata sui bonifici per il pagamento delle spese relative a interventi sul patrimonio edilizio e risparmio energetico; per essere effettuata la compensazione dei debiti tributari con crediti di importo superiore a 5.000 euro è necessaria la certificazione dei crediti da parte di un professionista; esterometro: invio telematico (trimestrale) all’Agenzia delle Entrate dei dati relativi alle operazioni economiche con soggetti non residenti; comunicazione trimestrale all’Agenzia delle Entrate dei dati relativi alla liquidazione periodica Iva.
Ma allora, in soldoni, siamo sì o no un popolo di evasori? Si stima che l’evasione fiscale in Italia ammonti a 105 miliardi di euro all’anno e che il gettito Irpef, la principale imposta pagata dagli italiani, costituisce per molti lo “strumento” per “misurare” le categorie meno fedeli al fisco. Nel dibattito politico-sindacale, ad esempio, si ripete ormai come un mantra che l’imposta sul reddito delle persone fisiche sarebbe pagata per quasi il 90 per cento da pensionati e lavoratori dipendenti. Segnaliamo che questa affermazione è del tutto fuorviante, perché sottende che in Italia a pagare la quasi totalità dell’Irpef sarebbero solo due categorie di contribuenti: quelle richiamate poc’anzi. In realtà chi continua a ripetere questa ovvietà è “vittima” di un grave abbaglio statistico/interpretativo. Se, infatti, è palese che oltre l’82 per cento dell’Irpef (e non il 90 per cento) è versata all’erario da pensionati e lavoratori dipendenti, questo avviene perché queste 2 categoria rappresentano quasi l’89 per cento del totale dei contribuenti Irpef presenti in Italia. Se si vuole dimostrare lo squilibrio del carico fiscale legato all’Irpef, la metodologia “corretta” consiste nel calcolare l’importo medio versato da ciascun contribuente facente parte di ognuna delle 3 principali tipologie che pagano l’imposta sulle persone fisiche: autonomi, dipendenti e pensionati. Applicando questa metodica, dagli ultimi dati disponibili sui redditi relativi al 2018 (fonte Ministero dell’Economia e delle Finanze), emerge che, mediamente, i pensionati pagano un’Irpef netta annua di 3.173 euro, i lavoratori dipendenti di 4.006 euro e gli imprenditori/lavoratori autonomi di 5.741 euro. Sia chiaro: l’evasione fiscale in Italia c’è ed è presente in tutte le categorie professionali, quindi, anche tra gli autonomi e gli imprenditori. Ci mancherebbe. Tuttavia, va contrastata ovunque essa si annidi, senza però accusare pregiudizialmente nessuno.