Banche, parte negoziato rinnovo contratto. Sileoni (Fabi): è ora di ripagare lavoratori per sacrifici fatti

 
Negli ultimi 10 anni, sono profondamente cambiati la natura, l’assetto e gli equilibri politici del settore bancario: da presidio del territorio con attenzione verso l’economia reale, le imprese e le famiglie, le filiali delle banche si sono trasformate, oggi, in negozi finanziari.

Questa trasformazione è “scritta” chiaramente nei bilanci: negli ultimi 5 anni il totale dei ricavi del settore è stato pari a 413 miliardi di euro: di questi, più della metà (50,5%) cioè 209 miliardi corrisponde alle commissioni; mentre 204 miliardi (49,5%) arrivano dal margine d’interesse, cioè dai prestiti.

Nel 2022, i prestiti sono tornati a essere la fonte maggiore di ricavi, grazie al velocissimo aumento del costo del denaro deciso dalla Bce, ma la tendenza è quella tracciata complessivamente nell’ultimo quinquennio: più commissioni, meno credito.

Sono i dati illustrati oggi dal segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, durante l’incontro in Abi che ha aperto il negoziato sul rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di 280.000 lavoratrici e lavoratori delle banche; il contratto, scaduto a fine 2022, è stato prorogato più volte fino al prossimo 31 luglio.

«Le banche probabilmente non vogliono più rappresentare la cinghia di trasmissione tra la finanza e i territori. Noi, invece, pensiamo che, accanto al legittimo obiettivo di creare valore per gli azionisti, debba continuare a esistere il ruolo sociale che, nonostante la propaganda, si è fortemente ridimensionato. Obiettivo dei vertici delle banche è: aumentare ricavi e utili, anche riducendo i costi, per poter distribuire dividendi importanti agli azionisti» ha detto il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, durante il suo intervento in Abi.

Gli azionisti sono stati sempre ampiamente ripagati dei loro investimenti con dividendi in costante crescita: 1,5 miliardi nel 2012, 2,2 miliardi nel 2015; 5,5 miliardi nel 2019, 12,5 miliardi nel 2022.

Ecco perché, secondo Sileoni «è arrivata l’ora di ripagare anche i lavoratori dei sacrifici e degli sforzi che hanno consentito utili così elevati con il giusto riconoscimento economico: le difficoltà del 2012 sono superate, il settore è diverso rispetto a quando sono state prese certe decisioni sul tfr, perciò, ci sono tutti i presupposti per riconoscere ciò che è stato perso. Il tfr ha fatto risparmiare alle banche circa 200 milioni all’anno e ora ci sono tutte le condizioni per ritornare alla normalità». Per il segretario generale della Fabi «i numeri e l’andamento del settore ci dicono anche che il contratto del 2019 è superato, va profondamente rinnovato».

RICAVI IN AUMENTO NEGLI ULTIMI 10 ANNI

Secondo dati illustrati oggi, che si riferiscono agli anni dei precedenti rinnovi contrattuali e al 2022, i ricavi e gli utili delle banche sono costantemente aumentati. I ricavi sono stati pari a 74 miliardi nel 2012, 78 miliardi nel 2015, 82 miliardi nel 2019, 88 miliardi nel 2022; in 10 anni +18%. Quanto agli utili, dopo la perdita complessiva di 2,5 miliardi nel 2012, si sono attestati a 3,7 miliardi nel 2015, 15,7 miliardi nel 2019, 25 miliardi nel 2022; in 10 anni +1.000%. Rispetto alla crescita degli utili i costi del personale sono cresciuti molto meno: in 10 anni solo +17%. Anche il cost-income, cioè il rapporto tra costi e “fatturato”, è progressivamente migliorato negli ultimi anni: era al 66,4% nel 2015 e al 65,5% nel 2019, oggi è al 63,1% tra i migliori dati a livello europeo.

Ecco, qui di seguito, tutti gli altri punti illustrati da Sileoni oggi in Abi.

CALANO DIPENDENTI E FILIALI, SALGONO I COSTI OPERATIVI. LO SPAZIO LASCIATO A BANCOPOSTA

In 10 anni, i dipendenti bancari sono diminuiti (-14,7%) e anche le filiali (-36,2%), ma i costi operativi sono cresciuti quasi del 20%: i risparmi sul personale e i tagli alla rete sono stati destinati a coprire consulenze, spese legali e altri costi. «Tagliare i costi, compresi quelli del personale, non è più una necessità per il settore. L’aumento del costo medio del lavoro (30 mila euro in 10 ani) si giustifica con stipendi sempre più alti per alcune categorie di dipendenti e non per tutte» ha detto Sileoni. Nel 2012 le banche avevano 309mila dipendenti e 32.000 filiali in tutta Italia. Dopo 10 anni, i dipendenti delle banche sono scesi a 264mila (meno 15%) e le filiali bancarie sotto quota 21mila (meno 36%). BancoPosta, nello stesso periodo, ha lasciato di fatto intatta la sua presenza territoriale: le filiali erano 13.000 e oggi sono 12.500 (meno 5%). Lo spazio lasciato a BancoPosta è voluto, non casuale: le banche preferiscono concentrarsi su attività che garantiscono maggiori ricavi (la vendita di prodotti finanziari e assicurativi) lasciando a Poste attività più costose e meno redditizi. Allo stesso tempo BancoPosta diventa un canale distributivo alternativo per alcuni grandi gruppi bancari che vendono i loro prodotti di credito anche ai clienti di Poste.

LA VIGILANZA DELLA BCE DAL 2014: MENO BANCHE, QUALITÀ DEL CREDITO IN MIGLIORAMENTO

A partire dal 2014, la vigilanza sulle banche italiane, con l’eccezione delle più piccole, è passata dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea che ha drasticamente modificato l’approccio di supervisione: zero dialogo, più regole rigide. Obiettivo: meno banche, pochi grandi gruppi e più solidi, con patrimoni più robusti capaci di reggere anche a scossoni finanziari di dimensione globale perché il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 aveva lasciato il segno. In particolare, la Bce ha preteso una rilevante riduzione delle sofferenze: i crediti deteriorati delle banche erano passati, dal 2008 al 2014, da 131 miliardi a 350 miliardi di euro (200 miliardi erano sofferenze). Oggi le sofferenze nette sono pari a circa 15 miliardi, mentre il totale dei crediti deteriorati è di 55 miliardi. La qualità del credito, insomma, è diventata una ossessione e la Bce ha costretto, di fatto, le banche, per alleggerire i loro bilanci, a cedere decine e decine di miliardi di prestiti non rimborsati a società di recupero crediti (spostando il problema dal settore bancario ai territori). Le fusioni e le aggregazioni, in alcuni casi necessarie per evitare fallimenti, hanno portato a una rilevante semplificazione o razionalizzazione del settore, in linea con le indicazioni nette e chiare della Banca centrale europea. I principali gruppi del settore Abi erano 31 nel 2012, 27 nel 2015, 22 nel 2019 e sono 18 oggi. Questa forte concentrazione ha portato le banche ad avere sempre più potere, che consente ai vertici del settore di condizionare significativamente la politica e le istituzioni.

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