Allegro con brio, e un pizzico di piombo
- di: Barbara Leone
Un musicista sordo! Possiamo noi immaginare un pittore cieco? Se lo domandava Richard Wagner nello scrivere di Beethoven, sottolineando che “il musicista sordo somiglia ora a Tiresia che, cieco sul mondo fenomenico, contempla con l’occhio dell’anima il centro da cui muovono tutti i fenomeni. Non disturbato dai frastuoni della vita Beethoven rimane solo, intento alle sue armonie interiori. Allora l’essenza delle cose parla di nuovo a lui nella serena luce della bellezza. Allora egli comprende la foresta, il prato, l’azzurro cielo, la folla lieta, la coppia amorosa, il correre delle nuvole, lo strepito della bufera, la beatitudine di una pace interiore. E allora penetra per tutte le sue opere quella meravigliosa serenità che è una caratteristica della sua musica”.
Non occorre essere degli esperti musicofili per amare Ludwig van Beethoven. Che sia l’“Eroica”, la Sonata “Al chiaro di luna” o la celebre “Per Elisa” tutti, almeno una volta nella vita, si son potuti immergere e perdere nella bellezza dei suoi capolavori. Fra tutti, il più famoso è forse la Nona Sinfonia col suo maestoso “Inno alla gioia”, che è anche l’Inno ufficiale dell’Unione europea. Un’opera ineguagliabile scritta quando il compositore tedesco non era solo sordo, ma anche quasi completamente cieco. In realtà la sordità di Beethoven arriva ben prima: e più precisamente verso i trent’anni, allorquando inizia a percepire le voci senza però riuscire più a distinguere chiaramente le parole. Poco dopo la situazione degenera, sino a non fargli percepire nemmeno i suoni. E, di conseguenza, la sua musica.
È il periodo più buio, quello in cui medita anche il suicidio, come racconta in una accorata lettera indirizzata ai fratelli: “O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un’apparenza: pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento, ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo. Se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l’infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore”. Poi una preghiera: quella di chiedere al suo medico Johann Adam Schmidt, cui dedicò il trio per pianoforte, violino e violoncello in mi bemolle, di divulgare al grande pubblico le malattie che lo avevano colpito, specialmente negli ultimi dieci anni di vita, in modo che “per quanto possibile, almeno il mondo si riconcili con me dopo la mia morte”. Parole straziate e strazianti: quelle di un uomo totalmente isolato dal mondo e intrappolato in un corpo che, quasi in dispregio del suo geniale talento, non pareva offrirgli via d’uscita se non la fine di tutto.
E però l’amore per la vita, e per la musica, alla fine (per fortuna sua ed anche nostra) ha avuto la meglio. Con sovraumana tenacia e forza di volontà, Beethoven inizia a ingegnarsi con ogni mezzo per poter sentire almeno le vibrazioni della sua musica. Leggenda vuole che fece addirittura tagliare le gambe del pianoforte per poter appoggiare la tastiera a terra, al fine di usare il pavimento come cassa di risonanza. Altri raccontano di una bacchetta metallica tenuta fra i denti e appoggiata alla cassa armonica del pianoforte, per percepire le oscillazioni delle note musicali. Senza perdersi mai d’animo, almeno apparentemente, si fece costruire anche dei cornetti metallici dal suo amico Johann Mälzel, l’inventore del metronomo, ancor oggi esposti nella sua casa museo di Bonn. Il resto è storia: il 7 maggio 1824, ormai 53enne, Ludwig van Beethoven salì sul palco del Theater am Kärntnertor di Vienna per dirigere (insieme a Michael Umlauf, maestro di cappella del teatro) la prima mondiale di quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio monumento della musica di ogni tempo: la Nona Sinfonia. Un capolavoro rivoluzionario non solo per la presenza del coro, ma perché stravolgeva il concetto stesso di “Sinfonia” attraverso una grandiosa architettura artistica e sonora nella quale convivono i più variegati generi musicali del tempo: dallo stile operistico alla musica militare, passando per gli esotismi alla turca sino ad arrivare alla scrittura polifonica tipica della musica sacra. Non solo: perché la Nona di Beethoven rappresenta anche uno straordinario messaggio di pace che il compositore ha voluto lasciarci in eredità, unitamente alla grandiosità della sua musica. Un vero e proprio testamento spirituale, che riecheggia sublimemente in quel “Seid umschlungen, Millionen!”, che sta per “Abbracciatevi, moltitudini!”: un invito alla fratellanza universale, attuale come non mai.
Ora, a distanza di duecento anni precisi precisi, uno studio americano esaudisce forse (perché il condizionale è d’obbligo) il suo antico desiderio: ovvero quello di risolvere finalmente il mistero della sua sordità. Che, stando alla ricerca made in Usa, sarebbe stata causata dall’alta concentrazione di piombo nel sangue dovuta, a sua volta, da un eccesso di… vino! Proprio così: Beethoven, infatti, ne beveva almeno una bottiglia al giorno. In pratica affogava i suoi dispiaceri nell’alcol. Insomma: Beethoven uno di noi! E meno ci sentiva, più beveva. Peccato, però, che si trattasse di vino di pessima qualità. Vinaccio, insomma, a cui veniva aggiunto del piombo per rendere il sapore più gradevole. A rivelarlo sarebbero state una serie di analisi effettuate su due ciocche di capelli del compositore, donate all’equipe di ricercatori della Mayo Clinic, negli Stati Uniti, da un collezionista australiano.
Perché non è che le ciocche di Beethoven si trovano su Amazon o eBay! E anche se fosse, sarebbe ovviamente un falso. I risultati sono stati sorprendenti: una delle ciocche aveva 258 microgrammi di piombo per grammo di capelli, l’altra addirittura 380. E quindi ben oltre i livelli normali, che sono di 4 microgrammi per grammo. Numeri altissimi, che farebbero stramazzare al suolo finanche un elefante. Ma Beethoven no. Lui è diventato “solo” sordo. In realtà dell’alta concentrazione di piombo nel sangue del compositore si sapeva già da un po’. Tant’è vero che al riguardo si erano fatte le più disparate congetture. La più accreditata, ovviamente, quella dell’avvelenamento. Magari ad opera di qualche altro compositore rivale e invidioso. Adesso questo studio americano pare metter fine al mistero, restituendoci un genio malaticcio e ubriacone. Quasi quasi era meglio l’avvelenamento: molto più romantico, e in linea con un personaggio che ha fatto la Storia. E non solo quella della musica.