2020: nessun bilancio, ma solo qualche domanda

- di: Diego Minuti
 
Ancora poche ore e il 2020 se ne andrà, certo non rimpianto, ad eccezione di chi ne ha approfittato per diventare ricco o ancora più ricco. Oggi è il giorno dei bilanci e un po' traggono considerazioni conclusive su cosa ci sta lasciando quest'anno sventurato che, oltre ai morti di Covid-19 ed a chi ne è rimasto colpito, ha definito il quadro di un Paese che non sa fare tesoro delle sue sventure per uscirne più forte.

Le beghe che dividono chi dovrebbe governarci sono l'immagine plastica di una classe politica che non vuole ribellarsi a vecchie logiche di spartizione e, contestualmente, di conquista del potere, come se l'Italia fosse un circuito per spericolati piloti e non invece un Paese che ha bisogno di ben altro. Non ci sono colpevoli perché, ciascuno per la sua parte, lo è, dal vertice all'ultimo dei cittadini che, ritenendosi furbo, cerca di aggirare prescrizioni e divieti. Non riteniamo neppure di dovere spendere più di qualche parola su coloro che negano tutto, sempre e comunque, anche le evidenze, insultando e minacciando chi non la pensa come loro.

Tutti hanno diritto di dire quel che vogliono, ma con qualche limite, che non è solo quello della decenza, ma del codice penale. Magari, se qualcuno che siede a palazzo Madama o Montecitorio, se non a Palazzo Chigi, decidesse di inasprire le pene per chi di rende responsabile di reati d'odio non sarebbe male.
E allora, addio 2020, al quale chiediamo un'ultima cortesia, di lasciarci fare qualche domanda, interrogativi da lanciare come messaggi in una bottiglia.

Al presidente del consiglio, Giuseppe Conte, chiediamo se viene mai colto dal dubbio che il suo modo di reggere le sorti dell'Italia non sia quello giusto, interpretando il ruolo di premier come se investito da Dio onnipotente (e da Lui derivando forza e credibilità) e quindi impermeabile a critiche o refrattario a suggerimenti. Dimenticando di essere, invece, il risultato di un esperimento politico, che è riuscito a mettere intorno ad uno stesso tavolo forze politiche ideologicamente molto distanti.

Al senatore Matteo Renzi domandiamo se, guardando al bene del Paese, abbia mai pensato di tornare ad essere propositivo e non ultimativo nel momento in cui si siede al tavolo della trattativa. Perché uno statista si distingue da un semplice cacciatore di potere dalla capacità di fermarsi e dare il proprio contributo, anche se non tutte le sue istanze sono state recepite.
Ai cattedratici che, dal marzo scorso, ormai conosciamo come se fossero amici, entrando ad ogni ora del giorno e della notte nelle tv di casa nostra, chiediamo se conoscano il significato della parola "continenza". Se così non fosse ci permettiamo di ricordare loro che "continenza" significa "moderazione, misura nel soddisfacimento di appetiti ed istinti materiali". Cioè non approfittare della notorietà del momento per dei regolamenti di conti tra cattedratici che si riducono a liti da cortile.

Ai leader dell'opposizione, con il massimo rispetto per il loro fondamentale ruolo nella dinamica di una democrazia, vorremmo chiedere se, come dicono in continuazione, abbiano veramente a cuore le sorti dell'Italia. Perché, se così fosse, dovrebbero evitare a loro compagni di partito di assumere posizioni che portano imbarazzo non ai rispettivi partiti, ma al Paese intero. Paragoni insultanti (come quelli tra la Germania di oggi e quella di Hitler), partecipazioni imbarazzanti perché in veste ufficiale (come l'assessore che ha partecipato, con tanto di striscia tricolore, ad una manifestazione di un partito che si rifà dichiaratamente al fascismo) non possono essere sottaciuti o ignorati quando, legittimamente, ci si candida alla guida politica del Paese.
Agli italiani, infine, chiediamo se ricordano cosa il Paese abbia significato nella storia del mondo e, quindi, ma questa è una richiesta, di non svilire tale immenso patrimonio per beghe da condominio e non invece, come ci si dovrebbe aspettare, impegnandosi per un disquisire alto e proficuo.

Quando abbiamo dovuto fronteggiare un evento disastroso (come le guerre o le grandi calamità naturali) il Paese si è ritrovato, stringendosi idealmente in un immenso abbraccio collettivo, mettendo da parte l'odio o il rancore. Per i suoi effetti, la pandemia è come una guerra. Se proprio dobbiamo impugnare le armi per vincerla, siano quelle della condivisione e della fratellanza. Almeno questo. L'ultimo pensiero, quindi, che ci legherà a questo 2020 è quello per Agitu Ideo Gudeta, la donna etiope venuta in Italia per sfuggire alla guerra e che, da noi, era diventato un simbolo di tolleranza e condivisione.
È morta e poco importa di chi sia stata a mano che l'ha uccisa. La sola cosa importante è che con Agitu non sia morta anche la speranza.
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