Zaki attacca Israele e ignora Hamas, e poi si arrabbia pure per le critiche

- di: Redazione
 
I fatti sono fatti, soprattutto quando sono accertati. Se li si comincia a interpretare, a volere trovare giustificazioni laddove non ce ne possono essere, inserendo elementi di disturbo all'esame oggettivo degli eventi o celandone dolosamente altri, ecco che questo si traduce semplicemente nel tentativo di strumentalizzare, che, per definizione, favorisce una delle parti in causa.
Fatta questa premessa, desta molte perplessità la posizione assunta da Patrick Zaki, l'attivista egiziano per i diritti umani che ha visto la sua detenzione finire soprattutto per la mobilitazione di gran parte dell'opinione pubblica italiana, ma soprattutto del governo e della nostra diplomazia, che non ha voluto incontrare, rivendicando la sua apoliticità. Zaki in questi giorni è in Italia per presentare un suo libro (''Sogni e illusioni di libertà - La mia storia'') e sin qui sarebbe tutto nella norma, se non avesse postato un commento al vetriolo su quanto sta accadendo in Israele, in cui, pur non menzionandolo apertamente, accusa il premier israeliano Netanyhau di essere un assassino seriale, ma non pronunciando anche solo una parola per condannare i massacri e la presa di ostaggi da parte di Hamas.

Zaki attacca Israele e ignora Hamas, e poi si arrabbia pure per le critiche

Anche se poi ha corretto il tiro (''non sono con Hamas, ma con i civili palestinesi''), l'effetto del primo commento è stato fortissimo, soprattutto in chi in Italia lo ha eletto a rappresentante di quella parte della società civile dei Paesi arabi che respinge la violenza come strumento di lotta politica. Quindi nessuna sorpresa che l'annunciata presenza di Zaki al Salone del libro di Torino sia stata osteggiata da un schieramento trasversale, che ha trovato la condanna solo di Israele inaccettabile, tanto che per lui c'è stato uno spostamento di sede.
Però la ripulsa generalizzata per la posizione da ''ma anche'' di Zaki ha portato molti ad esprimere una condanna per le sue parole. A queste accuse oggi Zaki ha risposto con una lettera a La Repubblica, in replica alle accuse mosse in un articolo da Luigi Manconi.

La sua autodifesa si può riassumere in poche frasi: ''Sono contrario all’uccisione o all’aggressione di qualsiasi civile, israeliano o palestinese, non coinvolto nelle violenze, nelle colonie illegali o negli omicidi'', ''sono sempre stato, e sempre sarò, dalla parte degli oppressi e degli abbandonati''.
Ma dirlo ora, dopo le critiche, induce ad una semplicissima domanda: perché, nel suo post, Zaki se l'è presa solo con Israele ben sapendo quel che i miliziani di Hamas avevano fatto e di cui oggi abbiamo, anche visivamente, tragica testimonianza?

Una condanna non può essere parziale perché, in queste tragiche circostanze, se Israele ha certamente le sue colpe, non si può tacciare il primo ministro di Gerusalemme di essere un serial killer glissando, contestualmente, sull'eco delle raffiche di mitra e delle esplosioni, sulle esecuzioni a freddo di civili e dei rapimenti, come se fossero una glossa della Storia.
E' giusto che Patrick Zaki, come ogni altra persona, abbia le sue idee e formuli i suoi giudizi, e deve avere la possibilità di esprimerli, ma forse concedergli anche una platea è forse troppo.
La grancassa dei suoi difensori ha fatto partire i rulli, come sta facendo Amnesty International quando dice che ''contro Zaki si è consumato un attacco mediatico esasperato ed esagerato''.

Ma, dal momento in cui le sue vicende personali lo hanno fatto diventare un personaggio pubblico, Patrick Zaki non può pensare di avere il crisma della non sindacabilità, sapendo benissimo che tutto quel che dice sarà letto e commentato. Se ti esponi, prendendo le difese di una parte o non condannando uno dei protagonisti, non può trincerarti dietro la libertà di espressione che, in un caso come questo, è difficile accettare come fosse un dogma.
Se per Zaki i morti di cui piangere la sorte sono solo quelli palestinesi, criticarlo è umano. Che lui giri per gli studi televisivi e per le fiere del libro (anche se qualcuno ha fatto marcia indietro, dopo la sua sortita) ci fa piacere per quello che ha patito, ma questo non è il lasciapassare per mistificare la realtà.
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