L’Ecofin tenta il colpo finale sulla riforma delle accise, ma Roma minaccia di far saltare il tavolo per difendere imprese e bollette.
(Foto: impianto di stoccaggio di gas metano).
All’Ecofin, a Bruxelles, l’Unione europea prova a chiudere uno dei dossier più spinosi dell’intera agenda climatica: la revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia. Sul tavolo c’è un riassetto profondo delle accise su gas, petrolio e carbone, pensato per allineare il fisco agli obiettivi di decarbonizzazione. Ma l’Italia ha scelto di sedersi al tavolo con un’arma pesante: il veto.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, arrivato a Bruxelles dopo giorni di allarmi dal mondo industriale, ha fatto sapere che Roma è pronta a bloccare la riforma se il testo non verrà cambiato in modo sostanziale. La linea è netta: senza correzioni che evitino un salto di tassazione sul gas, l’Italia non darà il suo assenso.
Il risultato è un braccio di ferro ad alta tensione politica, che mette sul piatto una domanda decisiva: come conciliare transizione verde e competitività economica in un’Europa ancora scossa dalla crisi energetica post-Ucraina.
Che cosa prevede la nuova direttiva sulla tassazione dell’energia
La riforma in discussione è il restyling della direttiva che dal 2003 regola la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità nell’Unione. All’epoca l’impianto fu costruito su un criterio semplice: le accise erano calcolate in buona parte in base al volume dei prodotti, con una miriade di esenzioni e trattamenti di favore, soprattutto per i combustibili fossili.
La proposta di revisione cambia radicalmente il paradigma. Il nuovo schema punta a una tassazione fondata su due pilastri: contenuto energetico e impatto ambientale. I combustibili vengono ordinati in una gerarchia climatica: in cima le fonti più pulite, in fondo quelle più inquinanti.
Per ciascuna categoria sono previsti nuovi livelli minimi di tassazione, indicizzati nel tempo, con l’obiettivo dichiarato di rendere più cari i combustibili fossili e più convenienti le alternative a basse emissioni. A questo si aggiunge la progressiva eliminazione di molte esenzioni, incluse quelle per usi domestici o per trasporti oggi privilegiati.
Il nodo del gas: perché per Roma è una linea rossa
Per l’Italia il punto critico è chiaro: il gas naturale. Il metano resta centrale nella produzione elettrica, nel riscaldamento e in molti processi industriali. Dopo la crisi energetica, l’idea di aumentarne le accise viene letta come un rischio concreto di nuovo shock sulle bollette e sulla competitività delle imprese.
Fonti governative avvertono che un mix di prezzi volatili, costi ETS e aumento delle accise potrebbe produrre un extra-costo miliardario per i settori energivori, scaricandosi poi anche sulle famiglie.
Giorgetti lo ha ripetuto senza mezzi termini: “L’Italia non può accettare un meccanismo che aggravi il costo dell’energia in una fase ancora fragile dell’economia”.
Un veto che pesa: la trappola dell’unanimità
La riforma tocca la tassazione indiretta e richiede quindi l’unanimità. Ogni Paese può bloccare tutto. Negli ultimi anni diverse presidenze hanno tentato la mediazione, ma le divergenze sono rimaste forti. L’annuncio anticipato di Roma aggiunge ulteriore pressione.
Non è solo una disputa tecnica ma un segnale politico: la fiscalità verde europea è lontana dal trovare consenso.
Industriali in allarme: la paura di un nuovo salasso
Le associazioni imprenditoriali hanno espresso forte contrarietà. Il delegato energetico di una grande organizzazione ha definito l’aumento delle accise una misura “folle per un Paese che basa il proprio manifatturiero sul metano”, avvertendo che ciò metterebbe a rischio intere filiere.
Alla base c’è il peso di sconti e agevolazioni che negli anni hanno generato una sorta di “sovvenzione implicita ai combustibili fossili”. Una loro revisione rischia di colpire soprattutto le piccole e medie imprese.
Chi spinge per chiudere l’accordo: la sponda dei Paesi più green
Alcuni governi vedono nella riforma una condizione minima di credibilità della politica climatica europea. Senza un riallineamento delle accise, l’Europa continuerebbe a premiare fiscalmente i combustibili fossili.
Le ONG ambientaliste accusano gli Stati restii di voler conservare privilegi fiscali ingiustificati e temono che troppe deroghe trasformino la riforma in un’occasione persa.
Italia tra decarbonizzazione e realpolitik: il paradosso dei sussidi ai fossili
Il paradosso è evidente: l’Italia proclama l’obiettivo di uscire dai combustibili fossili, ma mantiene un sistema fiscale che spesso li favorisce rispetto alle alternative pulite.
Gli attuali meccanismi creano di fatto uno “sconto strutturale” su gas e gasolio, ma la dipendenza da questi stessi combustibili rende politicamente esplosivo ogni tentativo di allineamento rapido.
La minaccia di veto riflette dunque una scelta di protezione economica interna, a fronte del rischio di un rinvio della riforma a livello europeo.
Verso il compromesso (o la paralisi)
Gli scenari possibili sono tre: un compromesso politico, un rinvio del negoziato o il fallimento definitivo della riforma.
Nel primo caso la direttiva passerebbe con transizioni più lunghe e compensazioni. Nel secondo tutto slitterebbe al prossimo ciclo politico. Nel terzo l’Europa resterebbe con un sistema di accise che non riflette i reali costi ambientali.
La posta in gioco per Roma: non solo gas
L’Italia dovrà decidere se usare il fisco come leva della transizione oppure continuare con interventi spot e bonus temporanei.
Una riforma organica potrebbe ridurre il peso su lavoro e imprese green, spostando gradualmente il carico su ciò che inquina di più. Ma richiede progettazione seria e un percorso credibile.
Per ora prevale la linea difensiva. “Non ci faremo carico da soli dei costi di una transizione disegnata in un altro contesto”, è il messaggio implicito del governo. Resta da vedere se esista una vera strategia nazionale per riformare la tassazione energetica.
L’esito del confronto a Bruxelles dirà se la Ue saprà costruire un accordo equo o se il dossier finirà accantonato tra le riforme mancate, schiacciato tra veto nazionale e ambizione climatica.