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Vescovi Usa sfidano Trump: stop alle deportazioni di massa

- di: Bruno Legni
 
Vescovi Usa sfidano Trump: stop alle deportazioni di massa
Vescovi Usa sfidano Trump: stop alle deportazioni di massa
Da Baltimora un raro “messaggio speciale” contro la linea dura del presidente sui migranti: l’episcopato americano si ricompatta, richiama la “dignità donata da Dio” e chiede una svolta sulla politica delle espulsioni.

In una sala conferenze di Baltimora, lontano dai riflettori della politica di Washington ma al centro delle tensioni che attraversano gli Stati Uniti, i vescovi cattolici americani hanno deciso di alzare il volume. Con un “messaggio pastorale speciale” sull’immigrazione, approvato quasi all’unanimità, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti prende posizione contro la campagna di deportazioni aggressive portata avanti dall’amministrazione di Donald Trump, mettendo nero su bianco che la Chiesa si oppone con fermezza alla logica delle espulsioni di massa.

Non è un documento qualunque: le norme interne dei vescovi prevedono che un messaggio di questo tipo venga usato solo in casi giudicati “particolarmente urgenti”. L’ultimo precedente risaliva al 2013, quando l’episcopato intervenne contro l’obbligo di copertura contraccettiva dell’Affordable Care Act voluto da Barack Obama. Dodici anni dopo, il tema che spinge i vescovi a usare l’arma più pesante di cui dispongono come corpo collegiale è l’immigrazione.

Un messaggio raro e un voto quasi unanime

Il testo, discusso e limato nei corridoi dell’assemblea generale autunnale, è stato approvato con un consenso schiacciante. È un segnale politico ed ecclesiale insieme: i vescovi scelgono di parlare come corpo unito su un tema che divide profondamente la società e lo stesso mondo cattolico americano.

Nel messaggio, i prelati dichiarano di amare il proprio Paese e di pregare per la sua prosperità, ma proprio per questo affermano di sentirsi obbligati a intervenire. In uno dei passaggi chiave, scrivono che la dignità umana è un dono di Dio e che nessuna politica può calpestare questo principio di fondo. Il linguaggio è volutamente pastorale, ma i bersagli sono chiari: le retate mirate nelle comunità ispaniche, le famiglie separate, la minaccia di espulsioni rapide e indiscriminate.

A più riprese i vescovi legano il loro intervento non solo a considerazioni legali, ma alla coscienza cristiana. In sostanza dicono al proprio popolo che l’adesione a un’agenda politica non può venire prima della fedeltà al Vangelo. In questo quadro, le deportazioni di massa vengono descritte come un’offesa all’immagine di Dio impressa in ogni persona.

L’ombra delle deportazioni di massa

Il contesto è quello di un’America segnata da anni di dibattito incendiario sull’immigrazione e da una seconda stagione trumpiana alla Casa Bianca centrata sulla promessa di “ripristinare l’ordine alle frontiere” anche attraverso un ampio ricorso alle espulsioni. I nuovi piani dell’amministrazione prevedono procedure accelerate, maggiore uso della detenzione e un ruolo rafforzato delle agenzie federali preposte al controllo dei confini.

I vescovi non contestano il diritto di uno Stato a regolare gli ingressi e a vigilare sulle frontiere. Ma tracciano una linea netta quando le politiche, a loro giudizio, diventano cieche rispetto alle storie concrete di chi arriva o di chi vive da anni negli Stati Uniti senza documenti. Il messaggio parla di famiglie che vivono “nel terrore di un bussare alla porta nel cuore della notte”, di bambini nati e cresciuti negli Usa che rischiano di vedere i genitori portati via in pochi minuti, di lavoratori che sorreggono interi settori dell’economia ma restano ufficialmente invisibili.

In questo clima, diversi pastori nelle diocesi di confine raccontano di parrocchie svuotate. Molti migranti, spiegano, evitano ormai anche le celebrazioni religiose per il timore di incrociare pattuglie all’uscita della chiesa o nei quartieri dove vivono. Il messaggio della Conferenza episcopale tenta di lanciare un segnale opposto: le comunità cattoliche sono invitate a farsi rifugi di prossimità, luoghi dove la paura lascia spazio al sostegno concreto.

L’appello non è solo spirituale. Il documento chiede anche una riforma complessiva del sistema migratorio, capace di coniugare sicurezza e accoglienza, e denuncia una retorica pubblica che spesso riduce i migranti a problema di ordine pubblico. La richiesta, in sostanza, è: smettere di parlare di “numeri” e tornare a guardare alle persone.

Coakley al timone e una Chiesa che cambia volto

Lo sfondo di questo messaggio è anche un passaggio di consegne ai vertici della Conferenza episcopale. L’assemblea di Baltimora ha eletto come nuovo presidente l’arcivescovo di Oklahoma City, Paul Coakley, che negli ultimi anni si è distinto per interventi ripetuti sul tema dell’immigrazione e per l’attenzione alla dimensione pastorale verso i migranti.

Già prima dell’elezione, Coakley aveva sottolineato come le deportazioni, così come vengono concepite in alcuni piani governativi, stiano generando “paura e smarrimento nelle nostre comunità”. Dopo il voto dei confratelli, l’adozione del messaggio speciale suona anche come una conferma della linea che il nuovo presidente intende imprimere alla Conferenza: dialogo con le istituzioni, sì, ma senza rinunciare a parole chiare sui grandi temi etici.

Il quadro demografico aiuta a capire perché l’immigrazione sia diventata prioritaria. Circa un terzo dei cattolici negli Stati Uniti è di origine ispanica, con parrocchie intere composte da famiglie arrivate dal Messico, dall’America centrale e dall’America latina. Molti fedeli che riempiono le navate la domenica sono gli stessi che temono controlli improvvisi sul posto di lavoro o lungo le strade. Quando i vescovi parlano di migranti, dunque, non discutono di una categoria astratta, ma di una parte viva e crescente del proprio popolo.

Nel documento, a più riprese, compare la richiesta di rafforzare iniziative concrete: dall’assistenza legale alle vittime di abusi nel sistema detentivo per migranti, fino all’accompagnamento spirituale di chi vive in una condizione di precarietà permanente. Le diocesi sono invitate a coordinare programmi di “parrocchie santuario” e reti di solidarietà che possano offrire ospitalità, cibo, sostegno psicologico.

Le divisioni nel cattolicesimo americano

Lo scontro sulle politiche di Trump non attraversa solo il Congresso, ma anche le panche delle chiese. Negli ultimi cicli elettorali, una parte consistente dei cattolici, soprattutto bianchi e delle aree rurali, ha guardato con favore all’agenda repubblicana, mentre molti cattolici ispanici si sono orientati verso i democratici, soprattutto sui temi della giustizia sociale e dell’immigrazione.

In questo contesto, il messaggio dei vescovi è un tentativo di spostare il baricentro del dibattito: non più “repubblicani contro democratici”, ma “fedeltà al Vangelo contro logiche di polarizzazione”. È significativo che il documento inviti a pregare non solo per gli immigrati, ma anche per le forze dell’ordine, chiedendo la fine di ogni forma di violenza o disumanizzazione. L’obiettivo dichiarato è disinnescare la narrativa di un Paese spaccato in due blocchi inconciliabili.

Diverse voci nell’episcopato sottolineano come sia diventato insostenibile il silenzio quando, nei talk televisivi e sui social, i migranti vengono descritti in modo caricaturale o associati quasi automaticamente alla criminalità. Un vescovo di confine riassume così il dilemma morale che si vive nelle parrocchie: “Quando una madre ci chiede se è sicuro venire a Messa con i figli, non possiamo rispondere solo con categorie politiche”, spiega, “dobbiamo ricordare che la prima fedeltà della Chiesa è al Vangelo, non a un candidato”.

Il messaggio speciale, dunque, è anche un invito ai cattolici americani a interrogarsi sul proprio voto, sui contenuti che sostengono e sui compromessi che accettano. Senza indicare partiti o nomi, i vescovi chiedono di valutare le piattaforme politiche alla luce di una visione integrale della persona, che tenga insieme tutela della vita, promozione della famiglia, giustizia sociale e accoglienza dello straniero.

Dal 2013 a oggi, la memoria dell’Obamacare

Il richiamo al 2013 non è un dettaglio tecnico. Allora, l’episcopato decise di ricorrere a un messaggio speciale per contestare un aspetto chiave della riforma sanitaria di Obama: l’obbligo per alcuni piani di assicurazione di garantire la copertura contraccettiva. Quella battaglia fu letta da molti come un test sulla libertà religiosa e vide i vescovi in un ruolo di aperta opposizione alla Casa Bianca democratica.

Oggi il copione si rovescia: al centro non c’è più il tema bioetico, ma quello migratorio; e il confronto non è con un presidente progressista, bensì con un’amministrazione che fa della linea dura sull’immigrazione uno dei propri marchi identitari. Il ricorso alla stessa forma straordinaria di intervento segnala che, agli occhi dei vescovi, la questione delle deportazioni ha un peso morale paragonabile a quello che ebbero le dispute sulla libertà religiosa sotto l’Obamacare.

Il paragone è destinato a far discutere. Alcuni osservatori, anche dentro la Chiesa, temono che la Conferenza possa essere trascinata in una nuova stagione di scontro frontale con la Casa Bianca, con il rischio di vedere ulteriormente politicizzata la figura dei vescovi. Altri, al contrario, leggono il messaggio come un tentativo di riallineare la Chiesa su una coerenza evangelica che non si faccia dettare l’agenda né da destra né da sinistra.

Che cosa succede ora tra Casa Bianca e vescovi

Il testo approvato a Baltimora non è solo un atto di denuncia: è anche un impegno a mantenere aperto il canale con le istituzioni civili. I vescovi ribadiscono di essere grati per le occasioni, passate e presenti, in cui hanno potuto dialogare con i responsabili pubblici. Allo stesso tempo, avvertono che in quel dialogo continueranno a difendere senza compromessi la dignità di migranti, rifugiati e richiedenti asilo.

Nelle prossime settimane, il “messaggio speciale” diventerà la base per prese di posizione delle singole diocesi, lettere pastorali, campagne di sensibilizzazione e contatti istituzionali con i membri del Congresso. Alcune conferenze statali dei vescovi stanno già lavorando a iniziative mirate per contrastare leggi locali considerate particolarmente punitive verso gli irregolari.

Da parte sua, la Casa Bianca rivendica il mandato ricevuto dagli elettori per “ripristinare la legalità” e difende i piani di deportazione come strumento necessario contro i traffici illeciti e l’ingresso di criminali. È probabile che nei prossimi mesi il confronto si sposti anche sul terreno giudiziario, con ricorsi a tribunali federali su singole misure e sui limiti costituzionali delle operazioni di espulsione.

Nel frattempo, nelle parrocchie americane la crisi migratoria continua a scriversi in minuscolo: nelle fila davanti alle mense parrocchiali, nelle aule dove si tengono corsi di inglese per adulti, nelle canoniche dove si bussa chiedendo aiuto per evitare lo sfratto dopo la perdita di un lavoro “in nero”. Quanto peserà il messaggio dei vescovi su queste vite fragili dipenderà dalla capacità – propria e dei fedeli – di tradurre parole forti in gesti quotidiani di solidarietà.

Come sintetizza un vescovo firmatario del documento: “Non stiamo scrivendo un manifesto di protesta, ma ricordando alla nostra gente che, per la fede cristiana, il volto di Cristo si riconosce soprattutto nello straniero che bussa alla porta”. Una frase che racconta meglio di ogni analisi perché, a Baltimora, l’episcopato abbia deciso di far sentire la propria voce proprio ora.

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