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Ungheria sfida la giustizia Ue: fuori dalla Corte penale internazionale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Ungheria sfida la giustizia Ue: fuori dalla Corte penale internazionale

L’Ungheria ha annunciato ufficialmente l’intenzione di ritirarsi dalla Corte penale internazionale. Una scelta che scuote l’Unione Europea e che arriva in un momento tutt’altro che casuale: proprio durante la visita ufficiale a Budapest del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, attualmente destinatario di un mandato di arresto emesso dalla stessa Corte con l’accusa di crimini di guerra legati al conflitto in corso nella Striscia di Gaza.

Ungheria sfida la giustizia Ue: fuori dalla Corte penale internazionale

La decisione è stata comunicata pubblicamente dal capo di gabinetto del primo ministro Viktor Orbán, Gergely Gulyás, che ha confermato l’avvio delle procedure formali per recedere dallo Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Corte penale internazionale. Gulyás ha motivato la scelta sottolineando che il governo ungherese considera ormai la Corte come uno strumento politicizzato, che interviene selettivamente nei conflitti internazionali e che rappresenta una minaccia per la sovranità degli Stati. Una presa di posizione che rappresenta un fatto senza precedenti per un paese membro dell’Unione Europea, poiché nessuno Stato dell’UE aveva mai deciso prima d’ora di ritirarsi dal sistema della giustizia penale internazionale.

La coincidenza temporale della decisione ungherese con la visita di Netanyahu non è passata inosservata. Il premier israeliano è arrivato a Budapest accolto con tutti gli onori dal ministro della Difesa ungherese Kristóf Szalay-Bobrovniczky. La visita, che durerà quattro giorni, segna la prima uscita ufficiale di Netanyahu in Europa da quando la Corte penale internazionale ha emesso nei suoi confronti un mandato d’arresto, firmato insieme a quello per il ministro della Difesa Yoav Gallant. Il provvedimento era stato richiesto dal procuratore della CPI Karim Khan in relazione ai bombardamenti su Gaza e alla gestione del conflitto contro Hamas, con accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Il premier ungherese Viktor Orbán ha approfittato della visita per ribadire la sua contrarietà alla decisione della Corte e ha definito «sfacciato e cinico» il mandato d’arresto emesso contro Netanyahu. Fonti vicine al governo ungherese riferiscono che la decisione di abbandonare la Corte penale internazionale sarebbe maturata già da settimane, ma che la visita del premier israeliano avrebbe accelerato l’annuncio ufficiale, trasformandolo in un chiaro segnale politico di sostegno a Israele e di contestazione degli strumenti della giustizia internazionale.

Nel corso della visita, Netanyahu incontrerà anche il presidente ungherese Tamás Sulyok e non sono escluse dichiarazioni congiunte che potrebbero sancire un ulteriore avvicinamento diplomatico tra i due governi. Secondo fonti ungheresi, tra i temi sul tavolo vi sarebbe anche la possibile apertura dell’ambasciata ungherese a Gerusalemme, una mossa che romperebbe la linea comune europea e confermerebbe il posizionamento filo-israeliano di Budapest.

La scelta ungherese ha già scatenato una tempesta diplomatica. L’Unione Europea, attraverso portavoce della Commissione, ha espresso «profondo rammarico» per la decisione e ha ricordato che la Corte penale internazionale rappresenta «un pilastro fondamentale nella lotta contro l’impunità per i crimini più gravi». Anche alcune capitali europee hanno manifestato preoccupazione per il precedente che l’Ungheria sta creando, paventando il rischio che altri governi populisti o autoritari possano seguire l’esempio.

Le reazioni non si sono fatte attendere nemmeno da parte delle organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani. Amnesty International e Human Rights Watch hanno condannato senza mezzi termini la scelta di Budapest, definendola «un attacco al principio della giustizia universale» e una «fuga dalle responsabilità nei confronti delle vittime di crimini atroci». Nei giorni precedenti all’arrivo di Netanyahu, numerose sigle della società civile avevano chiesto al governo ungherese di adempiere agli obblighi derivanti dall’adesione alla Corte e di eseguire il mandato di arresto. Ma Orbán ha preferito rilanciare, mettendo in discussione l’intero sistema.

La decisione ungherese ha inoltre riacceso il dibattito interno al Parlamento europeo sullo stato di diritto in Ungheria, già sotto osservazione da anni per le derive autoritarie del governo Orbán. Diversi eurodeputati hanno chiesto alla Commissione di intervenire e di valutare eventuali violazioni dei trattati europei, anche alla luce del fatto che la decisione mina la coerenza della politica estera e dei diritti fondamentali dell’Unione.

Sul piano internazionale, l’Ungheria rischia ora di ritrovarsi isolata. La decisione di lasciare la Corte penale internazionale avrà effetti procedurali che richiederanno diversi mesi, ma il segnale politico è già stato lanciato. Il governo di Budapest si è posto in rotta di collisione non solo con l’Unione Europea ma anche con la comunità internazionale che sostiene la giustizia penale internazionale come strumento per contrastare l’impunità.

L’episodio conferma ancora una volta la strategia di Orbán, sempre più orientata a costruire un asse con Israele e con quei paesi che contestano apertamente le istituzioni multilaterali. Una scelta che alimenta il dibattito sul futuro dei meccanismi internazionali di giustizia e sul ruolo che gli Stati membri dell’Unione intendono riconoscere a questi organismi.

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