La reintroduzione del Travel Ban da parte del presidente Donald Trump riporta al centro del dibattito una delle misure più controverse del suo primo mandato: il blocco degli ingressi negli Stati Uniti per i cittadini provenienti da una serie di Paesi considerati instabili o pericolosi. Stavolta sono dodici, tra cui Afghanistan e Iran, ma il principio resta invariato: la selezione dei viaggiatori in base all’origine nazionale e alla presunta pericolosità sistemica dei loro Stati.
Il ritorno del Travel Ban: Trump rilancia la dottrina dell’America chiusa
Il nuovo ordine esecutivo non è soltanto un atto amministrativo: è un manifesto ideologico che rilancia la retorica dell’identità americana assediata, sotto attacco e bisognosa di difese rigide. Dietro l’apparenza della sicurezza nazionale, si muove una strategia di ridefinizione del concetto stesso di cittadinanza e appartenenza.
Sicurezza o propaganda? Il confine è sottile
Nell’argomentare la misura, i consiglieri della Casa Bianca fanno riferimento alla necessità di prevenire infiltrazioni terroristiche, specialmente in un contesto internazionale che vede crescere le tensioni in Medio Oriente. Ma il legame tra provenienza geografica e minaccia concreta appare sempre più fragile, se non del tutto arbitrario. L’Afghanistan, ad esempio, è oggi teatro di una crisi umanitaria senza precedenti, mentre l’Iran resta uno dei principali interlocutori indiretti degli Stati Uniti nella regione. È evidente che la logica del ban non sia quella della risposta proporzionata a un pericolo effettivo, bensì quella della costruzione di un nemico, utile a ricompattare un elettorato frammentato. Si tratta di propaganda con le sembianze della precauzione.
Una misura strutturale nella visione trumpiana
Il Travel Ban non è un atto isolato, ma un tassello nella più ampia visione politica di Donald Trump. La sua concezione dello Stato è fondata su confini rigidi, rapporti bilaterali punitivi, logiche di esclusione. La mobilità internazionale viene regolata non in funzione del diritto, ma dell’interesse percepito. Questo approccio si è già visto sul piano commerciale, con i dazi imposti alla Cina, e sul piano ambientale, con il disimpegno dagli accordi sul clima. Nel bloccare i viaggi da determinati Paesi, Trump ripropone un’America impermeabile, meno interconnessa, meno accogliente, più verticale. Non è una semplice risposta a un’emergenza: è un atto di governo che definisce la natura stessa della sua idea di nazione.
Le reazioni interne: una polarizzazione crescente
Non sorprende che la nuova versione del Travel Ban abbia scatenato proteste. A San Francisco, sessanta manifestanti sono stati arrestati dopo un corteo spontaneo, ma le mobilitazioni si moltiplicano anche in altri centri urbani. I movimenti civili, le università, le associazioni religiose denunciano un uso selettivo e discriminatorio del potere esecutivo. Tuttavia, le reazioni non si limitano alla piazza: alcuni governatori democratici hanno annunciato iniziative per mitigare gli effetti del provvedimento a livello locale, mentre le organizzazioni per i diritti civili preparano ricorsi che potrebbero approdare alla Corte Suprema. Il Travel Ban riattiva così le linee di frattura della società americana: da un lato chi difende il diritto alla mobilità, all’asilo e alla protezione; dall’altro chi percepisce ogni apertura come un cedimento che mette a rischio la sicurezza nazionale.
Il nuovo test per le istituzioni e la leadership americana
Il decreto dovrà affrontare un probabile percorso giudiziario, com’era già accaduto nel 2017. Oggi, però, il contesto è ancora più teso: la Corte Suprema, pur con una maggioranza conservatrice, è sotto pressione a causa di sentenze che hanno polarizzato il Paese su temi come il diritto di voto e l’interruzione volontaria di gravidanza. Le amministrazioni locali, soprattutto quelle guidate dai democratici, promettono battaglia. Intanto, l’Europa osserva con apprensione: un’America che chiude le sue porte è anche un’America che rischia di ridurre il proprio soft power e la propria influenza morale. Il Travel Ban, dunque, non è solo una questione di visti negati: è un segnale forte, un messaggio politico che mette alla prova la tenuta delle istituzioni e ridisegna i confini tra sicurezza e libertà nella più antica democrazia occidentale.