La nostra biblioteca - L'omicidio emigra dal resort al treno: cambia la location, non la bravura di Stevenson

- di: Diego Minuti
 
La vera impresa, dopo avere scritto un bel libro (che non significa necessariamente che abbia venduto chissà quante copie: questo, in fondo, importa soprattutto agli editori) è ripetersi. O, a essere più precisi, sapersi ripetere.
Perché, dopo il primo successo, il plotone d'esecuzione composto da più tiratori (lettori, editori, critici) è pronto a impallinarti. Un rischio che, probabilmente, non ha corso Benjamin Stevenson, quasi costretto, dal successo del suo primo ''Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno'', a ritentare il colpo, con un nuovo libro, ''Tutti su questo treno sono sospetti'' (Feltrinelli - pag.368 - 18,95 euro), che sta effettivamente replicando il successo del predecessore. Quel ''Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno'' che è diventato un piccolo caso letterario, quasi spingendo l'autore ad accettare la sfida di riprovarci.

L'omicidio emigra dal resort al treno: cambia la location, non la bravura di Stevenson

Il tema su cui Stevenson si cimenta nuovamente è il concetto di ''circolo chiuso'' - ovvero un ambiente limitato, chiuso verso l'esterno, allo stesso modo in cui dallo stesso esterno si protegge - dove matura un evento misterioso ancorché drammatico. In ''Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno'' l'ambientazione è quella di un resort, in montagna, dove la famiglia Cunningham si riunisce per festeggiare l'uscita dal carcere di uno di loro, dopo avere scontato una condanna per omicidio. Poi, l'evento inatteso: un cadavere che ha le vie respiratorie ostruite da cenere, senza però sembrare di esservi stato esposto.
Un esercizio non da poco per Stevenson (che di mestiere fa il lo stand-up comedian e per il quale non deve essere stato inizialmente facile cambiare registro, mettendo per iscritto delle frasi e non lasciandole fluire dal linguaggio parlato) che ha comunque deciso di alzare l'asticella.
Perché, pur restando nell'ambito del tema del delitto che si manifesta in un ambiente chiuso (il treno: qualcuno ricorda l'Oriente Express?), questa volta a rendere il libro veramente affascinante sono i protagonisti, nella loro specificità. Perché la vita potrebbe mai mettere sullo stesso treno sei ''specialisti'' della scrittura 'gialla' o giù di lì?
Ma non è un treno qualsiasi.

Magari non è iconico come l'Oriente Express, il treno dei misteri e delle spie, ma non è che per fascino il Ghan scherzi. E' il treno che, in 48 ore, taglia da sud a nord l'immensa Australia, da Adelaide a Darwin, e viceversa, coprendo quasi tremila chilometri.
Stefenson quindi fa viaggiare sullo stesso treno sei scrittori: un esordiente (riferimento a sé stesso, anche se il personaggio, Ernest Cunningham, rimanda al primo libro di Stevenson), un esperto di scienze scienze, un autore di best sellers, uno specialista di legal thriller, un altro che si occupa di misteri legati alla sfera psicologica e, infine, un romanziere.
Quindi sei scrittori che, però, diventano cinque perché uno di loro si trasforma nella vittima di un omicidio. Ora, trattandosi di gente avvezza a districarsi nel mistero, dovrebbe non essere difficile venire a capo dell'assassinio, con lo scrittore esordiente a raccontare in prima persona.

La bravura dell'autore è soprattutto nel risolvere, con intelligenza, l'artifizio narrativo di raccontare partendo dal futuro, lasciando qui e là frammenti di storia, che solo alla fine, rimettendoli insieme, si trasformano in indizi, incastrandosi nella soluzione.
Quello che appare evidente è che l'autore - che riesce a stento a tenere a freno la sua voglia di fare ridere chi legge, come fanno coloro che lo ascoltano - si diverte, anche perché impone al suo doppio letterario, Ernest, di mostrarsi come un mezzo babbeo, che infila errori in quantità industriale, ma che per questo si fa amare. Anche perché, come gli idioti sapienti della vecchia letteratura medica, è capace di tramutarsi in un genio.
Lui che, in mezzo a cotanta sapienza letteraria, si sente come un intruso e forse per questo capisce subito che ad alimentare i ''sopravvissuti'' è il reciproco odio.
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