Sportelli pubblici, Cgia: "Dopo la pandemia code più lunghe per 2,5 milioni di cittadini"

- di: Barbara Leone
 
Con la fine del Covid, anche i cittadini hanno ricominciato a frequentare gli uffici pubblici e, conseguentemente, i tempi di attesa agli sportelli sono tornati ad aumentare. Rispetto a prima dell’avvento della pandemia i livelli di produttività di moltissime amministrazioni pubbliche sono ancora sotto soglia. Occorre ricordare che nel 2023 oltre 500mila dipendenti pubblici erano ancora in smart working; senza contare che in questi ultimi anni è continuato ad aumentare il numero di chi è andato in pensione senza essere rimpiazzato da un nuovo assunto. Insomma, dal 2023 gli italiani sono tornati a frequentare gli uffici pubblici, ma, per tutta una serie di ragioni, questi ultimi non hanno ancora recuperato una performance ottimale.

Sportelli pubblici, Cgia: "Dopo la pandemia code più lunghe per 2,5 milioni di cittadini"

Pertanto, è riaffiorato un problema che in questi ultimi anni avevamo rimosso: nelle ASL e nei Comuni, soprattutto del Sud, le code agli sportelli sono tornate ad allungarsi e ad aspettare più a lungo sono le persone anziane. I giovani e le persone di mezza età, infatti, patiscono meno questi disagi; con maggiori conoscenze informatiche degli over 64, sempre più spesso non hanno la necessità di recarsi presso gli uffici pubblici. Grazie all’utilizzo del personal computer o dello smartphone, da qualche anno possono entrare in possesso dei documenti che necessitano standosene comodamente a casa. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia nel sottolineare che la forte contrazione degli accessi agli uffici pubblici e la conseguente diminuzione dei tempi di attesa avvenuti tra il 2020 e il 2021 sono riconducibili al fatto che con la pandemia quasi tutti gli sportelli delle amministrazioni comunali front office hanno deciso di lavorare su appuntamento. Negli ospedali, invece, a causa del Covid, gli ingressi sono stati contingentati, contribuendo a diminuire le presenze complessive. Altresì, grazie al potenziamento dei call center telefonici e dei sevizi offerti attraverso il sito internet, come i pagamenti, le prenotazioni online delle visite, delle prestazioni ambulatoriali e il ritiro dei referti/certificati, le strutture ospedaliere hanno contribuito a diminuire ulteriormente l’affluenza ai propri sportelli.

Tra il 2021, anno in cui ci trovavamo in piena crisi pandemica, e il 2023, primo anno post Covid, le persone che si sono recate presso una ASL sono aumentate del 12,9 per cento (+ 2.246.000 persone), mentre quelle in attesa da più di 20 minuti sono incrementate del 24,4 per cento (+1.926.000 persone). Sempre nello stesso arco temporale, coloro che hanno dovuto interfacciarsi fisicamente con l’ufficio anagrafe del proprio comune sono aumentati del 13,4 per cento (+1.976.000 persone), mentre si è protratta l’attesa oltre i 20 minuti per il 14,1 per cento degli intervistati (+553.000 persone). Si può dunque stimare con buona approssimazione che nel 2023, rispetto al 2021, tra tutti i cittadini che hanno dovuto recarsi presso uno sportello pubblico (di una ASL o dell’ufficio anagrafe del comune) ed hanno aspettato più di 20 minuti, quasi 2,5 milioni (il 17,3 per cento del totale) hanno visto allungarsi i tempi di attesa ulteriormente. A livello regionale nel 2023 gli sportelli ASL più “lumaca” nell’espletare i referti e le pratiche tecnico/burocratiche sono stati quelli ubicati in Sicilia. Nella regione più a sud del Paese, il 68,4 per cento degli over 18 ha dichiarato di aver atteso più di 20 minuti. Seguono le ASL di Molise con ritardi denunciati dal 67,6 per cento dei cittadini, la Calabria con il 67,2 per cento, la Campania con il 65,8 per cento e la Basilicata con il 65 per cento. Tra il 2021 e il 2023 le regioni dove “idealmente” la fila agli sportelli ASL è aumentata maggiormente sono l’Abruzzo (+11 persone), il Veneto e la Basilicata (entrambe con +10 persone) e la Sardegna (+9 persone). Ovviamente, i maggiori utilizzatori dei servizi resi dalle ASL sono le persone in età maggiormente avanzata e, conseguentemente, ad aver atteso più di 20 minuti davanti allo sportello è stata proprio la coorte demografica degli over 64.

Rispetto a quanto è accaduto presso le ASL, la riduzione delle presenze e delle attese oltre i 20 minuti nel biennio 2020-2021 sono state modestissime. Sempre a livello regionale, nel 2023 gli sportelli degli uffici anagrafe più “lenti” nel consegnare i certificati richiesti dai propri residenti sono stati quelli relativi ai comuni laziali: il 44,1 per cento degli over 18, infatti, ha dichiarato di aver atteso più di 20 minuti. Seguono i comuni della Sicilia con il 43,3 per cento, quelli della Puglia con il 34,7 per cento, quelli della Calabria con il 33,5 per cento e quelli della Campania con il 32,2 per cento. Tra il 2021 e il 2023 i comuni dove “ipoteticamente” la fila agli sportelli dell’anagrafe è aumentata maggiormente sono la Calabria (+8 persone), l’Umbria (+6 persone) e l’Abruzzo (+5 persone). Diversamente, le amministrazioni comunali che in questi due ultimi anni hanno visto diminuire la fila sono state quelle del Molise (-6 persone), delle Marche (-3 persone), dell’Emilia Romagna, Piemonte e Campania (tutte e tre con -2 persone). L’efficienza degli uffici anagrafe dei comuni è inversamente proporzionale al crescere della dimensione di questi ultimi. Infatti, il numero delle persone che nel 2023 ha denunciato di essere stato in attesa più di 20 minuti davanti allo sportello dell’anagrafe nelle amministrazioni con meno di 10 mila abitanti è stato del 12,6 per cento, nei comuni tra i 10 e i 50 mila abitanti è salito al 23,3 per cento e per quelli con più di 50 mila abitanti ha toccato il 36,4 per cento. Emergono delle differenze molto marcate anche tra le persone che abitano nei comuni limitrofi o più lontani alle grandi Città Metropolitane.

Quelli che si trovano verso la periferia di queste grandi città hanno atteso più di 20 minuti “solo” nel 23,8 per cento dei casi, in quelli che risiedono nelle aree centrali la media “schizza” al 55,5 per cento. A lamentarsi, comunque, non sono solo i cittadini ma anche il sistema produttivo. Per più di 8 imprenditori su 10, infatti, la Pubblica Amministrazione (PA) italiana obbliga le imprese a delle procedure amministrative complicatissime. Esclusa la Francia, nessun altro paese dell’Area dell’Euro ha registrato un sentiment così negativo come il nostro. Rispetto alla media dei 20 Paesi monitorati nel 2023, l’Italia sconta un differenziale di quasi 25 punti percentuali in più. Il coacervo di norme, di regolamenti e di disposizioni varie presenti in tutti i settori continuano a ingessare il Paese, rendendo la vita impossibile soprattutto a coloro che vogliono fare impresa. E mai come in questo momento, oltre a riformare la nostra Amministrazione statale sarebbe necessario semplificare il quadro normativo, riducendo il numero delle leggi attraverso l’abrogazione di quelle più datate, ricorrendo ai testi unici, evitando così la sovrapposizione legislativa che su molte materie ha generato incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza dei tempi ed adempimenti sempre più onerosi. Siamo certi che tutto questo darebbe un forte impulso alla produttività del personale pubblico, spesso costretto a sottostare a procedure organizzative rigide e insensate che disincentivano la voglia di fare.

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