Pirozzi: "Il sisma ci ha ferito, ma non ci ha sconfitto"

- di: Diego Minuti
 
L'appuntamento è alle 7, davanti casa sua, ad Amatrice. Per essere inverno c’è sì freddo, ma non tanto quanto ci si immagina, anche se una sottile pellicola di ghiaccio copre i vetri delle automobili parcheggiate in strada. Quando fa capolino dal portone di casa, Sergio Pirozzi fa un gesto di saluto, quasi sussurrando un ‘’Buongiorno’’ che però, anche perché per strada non c’è quasi nessuno e il silenzio è pressoché totale, si avverte benissimo: la sua voce è bassa, quasi roca, potente, forse più di quanto, sentendo le sue tante interviste, si possa pensare. Indossa un cappellino grigio. Nessuna marca famosa, nessuna griffe, nessun marchietto.
Solo un tricolore, quello d’Italia. Per avere da poco girato la boa dei 55 anni, nonostante il giaccone che indossa, appare in ottima forma, molto di più di tanti ex calciatori - come lui in effetti è - che, una volta abbandonata l’attività sportiva quotidiana, si lasciano andare. E’ una giornata come altre, una di quelle che, per cinque volte a settimana, lo portano da Amatrice a Roma e viceversa.
Tutto in un solo giorno, un andare e tornare che, dice, a lui comunque non pesa più di tanto. Nonostante siano cinque ore di auto, per strade non sempre perfette; nonostante il viaggiare spesso da solo, con la compagnia di notiziari del Gr1. Sergio Pirozzi sembra comunque porgere attenzione anche alla musica che scorre in sottofondo. L’impressione è che ami la musica, ami la bella musica e te ne accorgi quando ad essere trasmessi sono brani di quelli che un tempo erano solo cantautori ed oggi, invece, vengono considerati dei poeti. Canzoni italiane, naturalmente, con voci nette, pulite, senza distorsioni o, peggio, messaggi ambigui.
Cinque giorni in auto, venticinque ore alla guida, sempre che tutto vada bene: un sacrificio, pur di tornare a casa ogni sera, per abbracciare la moglie ed i figli. Una cosa che reputa più importante della fatica che, oggettivamente, sopporta quotidianamente. Chi guarda a lui come al solito politico dovrebbe ricredersi, vedendo la sua automobile: non un mostro ‘’made in Germany’’, con centinaia di cavalli pronti a scatenarsi. No, è ‘’solo’’ una Punto alimentata a Gpl.
Una vettura quasi vintage, ma forte, sicura, a cui si affida ogni giorno, sapendo che lo riporterà a casa, sempre.La prima tappa (la seconda sarà a San Giovanni Reatino, per il pieno quotidiano alla Punto) è ad Antrodoco, al bar Stocchi dove, sono ormai 25 anni, prende il terzo caffè della sua giornata. Quello forse più importante, perché lo prepara al viaggio. Da Stocchi, Pirozzi, ormai, non è più un cliente, affezionato o abituale, rispondendo alle domande di tutti, su politica ed economia, ma anche calcio. Il gusto del caffè nero viene subito cancellato, appena fuori dal bar, da una sigaretta, una Camel light, l’ennesima di una lunga serie. Poi in macchina, con il muso della Punto verso Roma.
Con l’elezione in Consiglio regionale, la vita di Sergio Pirozzi ha registrato una nuova svolta. Alcune, come appunto l’approdo al massimo consesso laziale, certamente positive. Altre drammatiche. Il ricordo della violentissima scossa che, il 24 agosto del 2016, ha sbriciolato le case di Amatrice.
Il terremoto ha cancellato - con le mura - anche la storia di Amatrice e Sergio Pirozzi, che era il sindaco della cittadina, s’è trovato suo malgrado sotto i riflettori in un palcoscenico che, per l’ampiezza della tragedia, è stato planetario. E lui, uomo di fatti prima che di parole, ha dovuto affidarsi alla sua oratoria scarna, essenziale, talvolta spietatamente chiara per fare capire al mondo cos’era accaduto e, soprattutto, cosa sarebbe inevitabilmente successo se i paesi del cratere del sisma fossero stati lasciati a loro stessi.
Come è forse accaduto. La sua, spesso, è la sola voce rimasta. O forse, come ama dire lui stesso, la voce di chi, grazie al ruolo istituzionale, può parlare a nome di tanti, e non importa se magari lui da qualcuno è politicamente lontano. ‘’Se guardi a cosa è rimasto della mia cittadina - dice quando Amatrice è già lontana e Roma più vicina - si può capire perchè parlo, reclamo, a volte urlo per portare fuori dall’aula consiliare della Regione il grido di chi ha visto crollare, in pochi secondi, con la sua casa, il mondo’’. Il tempo scorre, forse non velocemente come spererebbe chi deve mettere tra la sua casa e il lavoro (perché per Pirozzi la Regione è un lavoro) alcune centinaia di chilometri di strada difficile e anche pericolosa. Già la Regione, alla cui guida si era candidato, facendo corsa solitaria. Che poi è il modo che lui ama di più perché così un eventuale fallimento non lo si può addebitare a nessuno se non a se stessi.
Ma, allo stesso tempo, Sergio Pirozzi i successi ama condividerli con coloro che credono o hanno creduto in lui. Nella vita di tutti i giorni, nello sport (è stato un allenatore vincente) e in politica. Il domani cosa riserva all’ex sindaco di Amatrice? Se, come diceva Omero, l’avvenire è sulle ginocchia di Giove, quello di Sergio Pirozzi è solo nel suo cervello. Ad oggi, così dicono le voci ufficiali, non ha ancora deciso nulla, lasciandosi aperta la porta per tornare a fare l’allenatore di calcio.
Ma, anche chi gli è avversario politico, dice che da presidente della commissione della Regione che si occupa di ricostruzione e grandi rischi ha lavorato e sta lavorando bene. Avendo vissuto la tragedia di un terremoto devastante, dedica ogni stilla di energia per fare sì che le istituzioni - anche se regionali - non incorrano negli errori del passato. Soprattutto in materia di politica del territorio, di cui è ormai diventato un esperto, tanto da dialogare con l’Europa. Mentre, fuori dal finestrino della Punto, il paesaggio comincia a cambiare e, dopo distese di verde e montagne, la metropoli sta per fare capolino, Sergio Pirozzi elabora l’agenda della sua giornata che inizia con la lettura di almeno quattro quotidiani e prosegue con un primo briefing con la sua segreteria. Poi, al lavoro, tra telefonate, riunioni, computer.
Ogni tanto, per staccare la spina, si affaccia alla finestra e guarda la vita che scorre sotto di lui: frettolosi in auto, diretti chissà dove; ragazzi che hanno nello zaino libri e speranze; anziani che portano a spasso il nipotino che i figli non possono permettersi di mandare all’asilo. Un uomo come Sergio Pirozzi, che sembra essere stato scolpito, in termine di determinazione e cocciutaggine, nella pietra di Amatrice - città che lo ha fatto suo figlio, lui che è nato a San Benedetto - ha anche il tempo di coltivare dei sogni, anche se sarebbe più corretto definirle aspirazioni. No, nessun sogno per i suoi due figli adolescenti - 18 anni il maschio, 11 la femmina - (‘’spero che sappiano ritagliarsi il loro spazio nella società, concretizzando i progetti che vorranno coltivare’’).
Quando gli si chiede chi, se non fosse l’uomo che è, avrebbe voluto essere, risponde secco, senza esitazioni, ‘’il Capo della Protezione civile’’. La giornata va avanti, inframezzata da un caffè, un rapido spuntino e tante sigarette. Il pomeriggio vola via veloce, mentre il sole prepara al crepuscolo. La Punto lo aspetta al parcheggio del Palazzo delle Regione. Un’ultima boccata alla sua amata sigaretta e via, si rientra ad Amatrice.
Altre due ore e mezza di rettilinei, curve, dossi, viadotti e solitudine. A casa ad attenderlo la famiglia al completo. La cena, poi magari - se non vince la stanchezza - vedere se in tv danno qualche partita di calcio (da seguire come studioso, ma anche come appassionato) e poi a riposare. Magari rileggendo un capitolo di un libro di Indro Montanelli o Giampaolo Pansa, che hanno scritto la Storia per come piace a lui. Domani si ricomincia.
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