C’è una costante nel Partito Democratico, ed è l’eterno dibattito tra identità e realismo, tra la pulsione pacifista e la necessità di mostrarsi forza di governo. Il piano ReArm, che prevede un aumento degli investimenti nella difesa, ha riacceso il conflitto. Elly Schlein, con il suo istinto di marcare le distanze dalla destra, ha scelto la via della contrapposizione: il piano va cambiato radicalmente, ha detto con fermezza. Ma i riformisti del partito non ci stanno, consapevoli che l’Italia ha impegni internazionali da rispettare e che l’atlantismo non è un vezzo da vecchi socialdemocratici, ma un pilastro della politica estera nazionale.
Schlein, il PD e il riarmo: il gioco delle ambiguità
Il PD torna così nel suo labirinto: da una parte la voglia di incarnare una sinistra movimentista, che rifugge la "logica della guerra" e che sogna un’Europa alternativa alla NATO; dall’altra, la consapevolezza che un partito che aspira a governare non può giocare con le ambiguità in materia di sicurezza e difesa. Un equilibrio instabile, che si ripete da anni.
Lo scontro in casa PD
La riunione sulla risoluzione per le comunicazioni della premier è stata lo specchio di questo dualismo irrisolto. Schlein vuole una rottura netta, una posizione che si distingua da Giorgia Meloni e che parli a un elettorato che chiede più diritti e meno armi. I riformisti tentano la mediazione, ma sanno che la segretaria ha costruito la sua leadership su un profilo alternativo alla politica tradizionale. Il rischio è quello di una battaglia identitaria che si trasforma in una trappola.
I numeri, del resto, parlano chiaro: l’Italia ha già avviato un processo di rafforzamento delle proprie capacità difensive in linea con gli altri paesi europei. Il piano ReArm è una necessità per mantenere gli impegni con l’Unione Europea e con la NATO. Per questo, l’ala riformista del PD insiste: non si può lanciare messaggi ambigui su un tema tanto cruciale.
Ma Schlein non arretra. Nel suo discorso ai parlamentari ha messo in chiaro che la priorità del PD deve essere una revisione complessiva del piano, per evitare una "deriva militarista" che avvantaggerebbe solo la destra. L’ala governista del partito, invece, vede nella posizione della segretaria il rischio di un isolamento internazionale e di una perdita di credibilità agli occhi degli alleati occidentali.
Meloni osserva e aspetta
Intanto, a Palazzo Chigi osservano con attenzione. Meloni e il ministro della Difesa Guido Crosetto sanno che ogni crepa nel PD può renderle la vita più facile. La premier può persino permettersi il lusso di apparire più pragmatica e responsabile, mentre il principale partito di opposizione si divide tra pacifismo e necessità di credibilità internazionale.
L’incoerenza del PD non è una novità. Lo abbiamo visto con il Jobs Act, con la riforma costituzionale bocciata dagli stessi che l’avevano votata in Parlamento, con il balletto su termovalorizzatori e rigassificatori. Ora la questione non è solo il piano ReArm, ma il dilemma identitario che perseguita il partito dalla sua nascita. Sinistra o centro, movimento o istituzione, idealismo o realismo.
E intanto, Schlein si trova davanti alla prova più difficile: come tenere insieme un partito che da anni fatica a darsi un’identità chiara? Il rischio è sempre lo stesso: che nel tentativo di tenere tutto insieme, il PD finisca per non scegliere affatto.