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Salari italiani: il divario resta ampio, tra stagnazione della produttività e rincorsa all’inflazione

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Salari italiani: il divario resta ampio, tra stagnazione della produttività e rincorsa all’inflazione

Nel panorama economico europeo, l’Italia resta un caso anomalo per l’andamento dei salari reali. A partire dalla fine degli anni Novanta, il Paese ha sperimentato una stagnazione persistente che ha inciso sulla crescita del reddito da lavoro. I dati raccolti da istituzioni internazionali come l’ILO e l’OCSE indicano che tra il 2008 e il 2024 i salari reali italiani sono diminuiti complessivamente dell’8,7%.

Salari italiani: il divario resta ampio, tra stagnazione della produttività e rincorsa all’inflazione

Nello stesso arco temporale, le principali economie dell’Eurozona – come Germania e Francia – hanno visto salire le retribuzioni in termini reali. La Germania ha registrato un incremento del 15%, mentre la Francia ha mantenuto una crescita stabile, agganciata a un miglioramento costante della produttività.

Il nodo della produttività ferma

A incidere in modo determinante su questo andamento è il rallentamento della produttività del lavoro. Dal 1999 a oggi, la produttività italiana è cresciuta a ritmi tra i più bassi del mondo industrializzato. Mentre i Paesi ad alto reddito hanno segnato aumenti medi nell’ordine del 30%, l’Italia ha fatto registrare un calo del 3%. Un divario strutturale che si è acuito nei settori a basso valore aggiunto e nei comparti a scarsa innovazione tecnologica. La dinamica ha finito per allontanare l’Italia dai suoi partner storici, rendendo più debole la posizione salariale dei lavoratori anche in presenza di livelli formali di occupazione stabili.

L’effetto shock dell’inflazione 2021-2022

L’accelerazione dei prezzi registrata nel biennio 2021-2022 ha avuto un impatto diretto sul potere d’acquisto delle famiglie. I salari, fissati in larga parte da contratti triennali, non sono riusciti a reagire con tempestività alla fiammata inflazionistica. Secondo le rilevazioni diffuse nel 2023, la perdita cumulata del salario reale in quel biennio si aggira tra gli 11 e i 12 punti percentuali. Le categorie più colpite sono quelle meno tutelate, spesso impiegate in settori ad alta rotazione e bassa produttività. In parallelo, la quota dei profitti sul reddito nazionale è aumentata, accentuando uno spostamento di risorse dal lavoro al capitale.

Rimbalzo salariale lento e disomogeneo

Nel 2023 e 2024, si è osservata una parziale inversione di tendenza. I rinnovi contrattuali hanno iniziato a riflettere l’aumento del costo della vita, portando a una crescita dei salari reali di circa 2,3% nel 2024. Un dato che, seppur superiore alla media G20, resta insufficiente a colmare il vuoto lasciato dall’inflazione precedente. Il recupero procede a una velocità di 1,5-2 punti percentuali annui. Su questa traiettoria, servirebbero almeno tre o quattro anni per tornare ai livelli del 2020, a condizione che i prezzi restino stabili e che la crescita della produttività non rallenti ulteriormente.

Occupazione in crescita, qualità in calo

Il mercato del lavoro italiano ha conosciuto negli ultimi anni una moderata espansione in termini numerici, ma senza un corrispettivo miglioramento della qualità. Secondo i dati dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, tra il 2023 e il 2024 la maggior parte dei nuovi occupati è stata assorbita da comparti a bassa produttività. Il commercio ha rappresentato il primo bacino di assunzioni (42 nuovi impieghi su 100), seguito da edilizia e servizi pubblici. Solo una piccola percentuale è confluita nei settori ad alta intensità tecnologica o ad alto valore aggiunto, come l’industria manifatturiera e l’energia. Questo squilibrio penalizza la dinamica salariale nel medio termine e contribuisce a consolidare una segmentazione profonda del mercato del lavoro.

Le variabili contrattuali nel contesto attuale

La contrattazione collettiva resta uno strumento centrale per definire gli aggiustamenti retributivi. In un contesto di recupero parziale, alcuni osservatori ritengono opportuno prevedere nei rinnovi in corso aumenti nominali superiori ai margini di produttività. Una misura che avrebbe l’effetto di sostenere la domanda interna, ancora fiacca. I consumi delle famiglie, secondo i dati 2023-24, sono cresciuti a un ritmo annuo dello 0,2%, segno di un potere d’acquisto ancora compresso. In un sistema economico in cui il consumo interno rappresenta una componente significativa del PIL, l’allentamento della dinamica salariale potrebbe generare un effetto moltiplicatore su crescita e occupazione.

La posizione italiana nel confronto europeo

Il divario tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Europa occidentale si conferma su più fronti. Non solo i salari reali restano inferiori, ma anche gli indicatori legati alla produttività, alla partecipazione femminile al lavoro e alla qualità contrattuale mostrano segnali di ritardo. La media dei salari netti italiani è oggi inferiore a quella di Francia, Germania, Belgio e Austria, anche a parità di potere d’acquisto. Questo allontanamento, sviluppatosi nell’arco di oltre vent’anni, è il risultato di una somma di fattori strutturali: bassa crescita, investimenti insufficienti, carenza di politiche attive del lavoro e un ambiente regolatorio spesso percepito come sfavorevole dagli operatori economici.

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