Per poco più di sei mesi, dal 24 ottobre 2025 al 3 maggio 2026, Roma si ritroverà a ospitare un’altra capitale del mondo. Alle Scuderie del Quirinale apre “I Tesori dei Faraoni”, la grande mostra che porta nel cuore istituzionale d’Italia 130 opere provenienti dai maggiori musei egiziani, molte delle quali escono per la prima volta dal Paese. È un prestito eccezionale: solo una volta negli ultimi vent’anni l’Egitto aveva autorizzato un’operazione simile, quella di Palazzo Grassi a inizio Duemila. Questa volta non è solo un’esposizione: è diplomazia culturale tradotta in meraviglia, un ponte tracciato non dai governi ma dagli oggetti che sopravvivono ai governi.
Ai faraoni il Quirinale: a Roma l’Egitto “vivo” per oltre sei mesi
Portare i faraoni al Quirinale significa collocare una civiltà millenaria proprio davanti alla sede simbolica della Repubblica. È un dialogo di pietre, miti ed eredità politiche: il potere divino di Ramses, il potere civile della democrazia italiana, le due “eternità” che per un tempo si sfiorano. Le opere non sono raccontate come reliquie, ma come frammenti di un mondo che continua a parlarci: la Triade di Micerino, le maschere dorate, i sarcofagi intarsiati, i gioielli che segnano il confine tra il divino e l’umano.
L’archeologia come racconto di persone, non solo di regnanti
La mostra non si ferma alla magnificenza dei sovrani. Una sezione è dedicata alla “Città d’Oro”, l’insediamento emerso di recente nei pressi di Tebe, dove gli archeologi hanno ritrovato resti di case, laboratori, spazi di lavoro: l’Egitto della vita quotidiana, non solo l’Egitto della morte e dell’aldilà. È lì che si vede chi davvero costruiva i simboli dell’eternità: gli artigiani, le mani, la fatica, il lavoro invisibile che dava forma alla gloria. In controluce, questa sezione è anche un racconto sul presente: dietro i monumenti, le opere e le immagini spettacolari ci sono sempre persone che non entrano nei libri di storia ma ne sono l’ossatura.
Un dialogo tra due civicità
Roma non accoglie soltanto antichi capolavori: accoglie una memoria che la rispecchia. Come nella città eterna, anche in Egitto la grandezza si è sedimentata su più epoche, mentre religione, politica e arte si intrecciavano per dare forma a un’idea di mondo. La mostra sembra chiedere al visitatore di osservare Roma al contrario, riflessa nella luce del Nilo: la capitale moderna che fronteggia un’eredità ancora più lunga, e che la riconosce. Per chi entrerà alle Scuderie, il viaggio non sarà solo estetico, ma temporale: attraversare le sale sarà come entrare in un corridoio che collega due identità separate da tremila anni, ma ancora capaci di parlarsi.
Un’esperienza pensata per far restare qualcosa dopo l’uscita
Accanto all’esposizione è previsto un fitto calendario di incontri, conferenze e laboratori. Non la solita mostra da guardare, e poi uscire; ma un percorso che accompagna il pubblico, lo rimette in relazione con il concetto di “eredità”, e lo fa con linguaggio accessibile. È un progetto costruito per lasciare traccia, non per occupare calendario. Lo stesso catalogo – curato da Zahi Hawass – vuole essere un diario più che un repertorio scientifico.
Due eternità che si incontrano
Per tutto il periodo dal 24 ottobre 2025 al 3 maggio 2026, il colle più istituzionale d’Italia ospiterà l’idea più antica del potere umano: quella che si misura non su una legislatura, ma sull’aldilà. Roma, con la sua memoria lunga, incontra l’Egitto, che della memoria ha fatto un destino. È in questo incontro silenzioso che la mostra trova la sua forza: più che un’esposizione, un ritorno di civiltà — un’Eternità che ne guarda un’altra e la riconosce.