Muore Robert Redford, e proprio oggi i bambini di Gaza piangono più forte. Le coincidenze hanno un peso. La scomparsa di un’icona del cinema, attore e regista che ha trasformato la bellezza in coscienza civile, cade in una giornata di strazio globale. E allora è inevitabile leggere insieme le due notizie: l’addio a un uomo che non ha mai accettato di vivere da spettatore e il pianto di chi non ha voce, intrappolato tra le macerie di un conflitto senza fine.
Robert Redford se ne va. E Gaza piange più forte
Redford era bello. Troppo bello per non destare sospetto. Hollywood lo aveva consacrato a volto della leggerezza e dell’avventura. Butch Cassidy, La stangata, Come eravamo. Un’epopea di fascino e nostalgia. Ma lui non si è mai accontentato. Ha scelto di non restare incastrato nella gabbia dorata del divo. Ha scelto di sorprendere, di ribaltare le attese. Quando girò Gente comune, nessuno pensava che il ragazzo dagli occhi azzurri potesse raccontare il dolore familiare con tanta lucidità. Vinse l’Oscar. E dimostrò che dietro il poster c’era un uomo.
UN FESTIVAL COME BANDIERA
La sua eredità non sono solo i film. È il Sundance, festival nato nel 1981, che ha offerto casa e dignità al cinema indipendente. Non un passatempo, non un capriccio da star. Ma un laboratorio di libertà, uno spazio per le voci che non trovavano ascolto. Quanti registi, quante storie scomode, quante carriere sono passate da lì! Sundance è stato un atto politico, una forma di resistenza. Un “no” alla dittatura del mainstream.
L’IMPEGNO CHE NON FA RUMORE
Redford non gridava, non amava proclami. Ma si batteva. Per l’ambiente, contro il cambiamento climatico, per la difesa delle terre e del paesaggio. Campagne, prese di posizione, collaborazioni con associazioni. Non era ecologismo di maniera, era coerenza. E oggi, mentre Gaza ci ricorda che il dolore non è mai lontano, il suo impegno discreto diventa una lezione. Perché chi possiede una voce non può sprecarla.
LA LEZIONE DELLA COERENZA
Ci sono artisti che usano la fama per isolarsi dal mondo. Redford ha fatto il contrario. Ha usato la fama per entrarci, per sporcarsi le mani, per non restare muto. Non sappiamo cosa avrebbe detto su Gaza. Ma sappiamo che non avrebbe scelto il silenzio. La sua intera vita ci dice questo: che il silenzio, quando intorno esplode il dolore, è una colpa.
RESTARE UMANI
Se ne va Redford, e ci lascia più poveri. Restano i suoi film, il festival, le battaglie. Ma soprattutto resta una lezione: non lasciarsi imprigionare dal ruolo che gli altri ci assegnano. Non voltare lo sguardo. Non arrendersi al cinismo.
E mentre a Gaza i bambini piangono più forte, quell’uomo bello e inquieto, attore e artigiano, divo e attivista, sembra dirci ancora una volta che l’unico modo per vivere, anche nell’arte, anche nel dolore, è restare umani.