Quirinale: io so che tu sai che io so
- di: Redazione
Se lo spettacolo legato alla corsa al Quirinale che la classe politica di casa nostra sta mostrando non fosse tragico, potrebbe semplicemente essere definito sconcertante, quasi comico. Una rappresentazione da commedia dell'arte o, forse addirittura, da pochade alla Feydeau, di cui non manca nulla: l'equivoco, lo scambio dei ruoli, gli amori clandestini, l'armadio che accoglie l'amante, il finale non necessariamente lieto. E in questo caso difficilmente il finale sarà lieto, visto che ormai, andando ciascuno avanti per la propria strada, l'esito sarà doloroso perché vedrà degli sconfitti. Cosa di cui il Paese, vista la delicata fase che sta vivendo, non ha proprio bisogno.
Quirinale: io so che tu sai che io so
Il cuore della politica oggi batte a destra ed è qui che si evidenziano strategie e obiettivi diversi che non possono coincidere, al di là delle dichiarazioni ufficiali al miele, con tanto di foto di famiglia, con i cagnolini di casa Berlusconi a saltellare tra o sulle gambe dei partecipanti di un (ennesimo) vertice decisivo, che così non è affatto stato.
Il centrodestra, che ha numeri migliori di quelli della parte avversa (categoria abbastanza difficile da definire), sembra essere impegnato in una lotta intestina più che cercare di trovare una intesa.
Tutti parlano, si nutrono delle personali convinzioni, ma alla fine, al netto di dichiarazioni di prammatica (imposte dall'occasione più che da un pensiero comune), quando Villa Grande è lontana, riprendono a tessere le proprie trame. Come, in fondo, è normale che sia in un quadro politico parcellizzato in tre grandi tronconi, ma anche con 'sottocategorie' di pensiero che si distaccano da quello ufficiale. Ma se c'è una cosa che non può essere sottaciuta è che ciascuno dei tre commensali del centrodestra al desco del Quirinale sa benissimo che l'altro/altra dice una cosa, ma che non è propriamente quello che pensa; che strette di mano, bacetti sulle guance, strizzatine d'occhio fanno parte della liturgia dei vertici politici che mai, a memoria d'uomo, hanno modificato di una virgola il pensiero che i partecipanti avevano prima.
Silvio Berlusconi, lanciato nella crociata ''pro villa sua'', ha fatto una mossa che voleva anticipare quelle possibili degli altri, dando una ''generosa'' disponibilità a correre per il Quirinale, ma chiedendo a Salvini e Meloni garanzie sui voti. Si è cioè mostrato un candidato di bandiera, ma solo la sua. Matteo Salvini e Giorgia Meloni, da parte loro, stanno giocando la partita del Quirinale come parte di un più grande scenario, che è quello della leadership di coalizione e, quindi, del ''diritto'' di esprimere, domani, a urne chiuse, il premier. Il capo della Lega, come facevano un tempo i cordai (che tendevano il canapo man mano che si allungava fermandosi, arretrando e ripartendo), con la sua politica di 'stop and go', è sembrato attrezzarsi soprattutto per mostrarsi lui e solo lui il rais, il capataz, il capo, insomma il vero conducator della coalizione. E sembra averlo fatto dando ufficialmente, in prima battuta, a Berlusconi la sua fiducia, ma mettendo sul cammino del Cavaliere verso il Quirinale tanti e tali paletti da rendere ardua l'impresa. E se è vero che nelle prossime ore Salvini farà, anche a Pd e 5S, dei nomi sui quali discutere o ragionare, sarà solo l'ennesimo tassello della sua strategia, per mostrarsi come il vero regista dell'Operazione Quirinale'.
E Giorgia Meloni? Almeno in questa fase, sembra avere deciso di aspettare l'ufficialità: della proposta di Salvini o dello scioglimento della riserva da parte di Berlusconi. Di certo, comunque, non pensiamo le stiano andando molto a genio
le mosse di Salvini, che sembra volersi ritagliare le vesti di unico e solo kingmaker che fa partecipi gli altri, ma non li coinvolge. Sensazioni, ovviamente, ma che fanno da pendant con le incertezze che si intravedono a sinistra, che è ormai relegata al rango di inane spettatrice.
Perché non basta solo dire di no ad un metodo, ma bisogna essere pronti a fare un nome che, al contrario di come viene etichettato quello di Silvio Berlusconi, non sia divisivo; che faccia da sintesi dell'intera società italiana; che sappia fare da collante tra realtà e progetti. Ed è qui che la sinistra italiana ufficiale - il Pd - sembra mostrare i segni di un logoramento vecchio di anni e che si è sostanziato nel perpetrarsi di equivoci che non solo solo ideologici (i mai composti dissidi tra ex comunisti ed ex centristi), ma anche di metodo. Se un partito forte, come quello democratico, debba prestare attenzione alle sortite di un ex segretario non rimpianto o di un guru che non ricopre alcuna carica ufficiale, se non quella di consiglieri di tutti, significa che molto ancora si deve fare per sanare il troppo di male che è stato fatto.