Il caso dei politici spiati segnala la debolezza del Paese

- di: Redazione
 
Nella foto, Raffaele Cantone, procuratore di Perugia

In quale Paese - se in questa definizione facciamo rientrare quelli in cui lo Stato di diritto non è una astratta definizione - un appartenente all'apparato di garanzia delle leggi può muoversi indisturbato e per parecchio tempo, indagando su personaggi della politica, dell'economia, dello sport, dello spettacolo senza avere il benché minimo titolo a farlo?
Ma l'Italia anche in questo fa eccezione, perché è accaduto e forse per un caso è stato scoperto.

Il caso dei politici spiati segnala la debolezza del Paese

Non vogliamo entrare nelle polemiche politiche che, come sempre, si sono scatenate aprendo una gara a chi si è sentito più spiato, vedendo in questa circostanza un modo per ergersi a perseguitato e, quindi, vittima abilitata a gridare vendetta. C'è stato anche chi, nel caso di Perugia, vede un attacco allo Stato e alla democrazia ben più grave della P2. Una valutazione che ci pare leggermente fuori fuoco perché la creatura di Licio Gelli non si limitava a spiare gli avversari, avendo messo invece in piedi una strategia di lenta e inesorabile penetrazione dei vertici dei Paese, fossero essi politici, militari, economici, dell'informazione, arruolando persone e personaggi che, con il tempo, hanno visto mondato il loro gravissimo peccato e sono tornati a ruoli determinanti, liquidando l'iscrizione alla loggia segreta come fosse quella ad una bocciofila.

Da Perugia, almeno ad oggi, arrivano notizie ben diverse, ma non meno preoccupanti perché un luogotenente della Guardia di Finanza (al di là della definizione roboante, si tratta di un grado intermedio tra il maresciallo e il sottotenente) ha potuto impunemente navigare tra banche dati riservate per indagare su personaggi sui quali, secondo le prime notizie, non aveva titolo a svolgere accertamenti e, men che meno, acquisire dati, numeri, importi, date.

Non stiamo a chiederci quanti e quali articoli del codice penale il finanziere abbia effettivamente violato, ma certo questa storia ci spinge a interrogarci su quanto permeabile sia il sistema dei controlli, se il primo che arriva, in possesso di credenziali e password, può entrare nella vita degli altri, impossessandosi dei loro segreti che, sino a quando non hanno rilevanza penale, tali debbono restare.
Il signore in questione cosa faceva?

Approfittava dei momenti in cui - sempre nella speranza che non lo facesse da casa, magari dal pc del figlio - era solo in ufficio? E nessuno dei suoi colleghi ha sospettato qualcosa? O, peggio ancora, nessuno dei suoi superiori ha avuto qualche dubbio?

Perché in fondo è questa la domanda che dobbiamo porci: la vicenda di Perugia ha dimostrato che tutti ormai siamo schedati e che possiamo restare in balia di qualcuno. Le intrusioni di questo finanziere, che dice di avere agito sempre e comunque nel rispetto delle regole, confermano che la privacy è spesso un concetto astratto, se è vero che chicchessia, direttamente o se ha un ''amico'' alla tastiera giusta, può distruggere la nostra esistenza. Eppure, davanti a questo baratro, a vicenda è diventata solo l'ennesimo pretesto per insulti tra politici.
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