L’Unione europea arriva al giorno della verità sul clima con un equilibrio delicato: salvare il target al 2040 di riduzione delle emissioni del 90% rispetto al 1990 e, allo stesso tempo, costruire valvole di sicurezza che rendano la traiettoria politicamente sostenibile per i Ventisette. La riunione dei ministri dell’Ambiente è impostata per chiudere: l’obiettivo resta in piedi, il contenzioso si concentra su flessibilità, tempi e strumenti.
Cosa c’è davvero sul tavolo
Il cuore dell’intesa è fissare in legge il −90% al 2040 e legarlo a una revisione biennale dell’andamento: un check regolare che permetta di correggere la rotta se i dati reali — su economia, tecnologie e assorbimenti naturali — non coincidono con le previsioni. In parallelo, si definisce l’aggiornamento dell’Ndc europeo al 2035, il contributo ufficiale alla riduzione globale delle emissioni, che dovrà mettere l’Ue in posizione credibile nel confronto internazionale.
La partita dei crediti
Il dossier più caldo è l’uso di crediti di carbonio internazionali “di qualità” per coprire una piccola quota del percorso al 2040. La proposta originaria prevede un tetto del 3% a partire dal 2036; diverse capitali sostengono una soglia al 5% con avvio anticipato all’inizio degli anni ’30; altri spingono fino al 10%. Roma e Parigi si muovono sull’opzione 5%, letta come spazio di manovra per industrie energivore in transizione e per la finanza climatica legata a progetti verificabili. Senza definire quantità, calendario e standard di qualità, il compromesso non regge.
Il freno d’emergenza sulle foreste
Un tassello decisivo è il meccanismo di salvaguardia legato agli assorbimenti naturali di CO₂ (foreste, suoli). Se i carbon sink europei crescessero meno del previsto, scatterebbe un “freno” per adeguare il percorso, evitando che il mancato contributo del Lulucf scarichi pressioni e costi sul resto dell’economia. È una clausola sensibile politicamente: rassicura gli Stati con patrimoni forestali in difficoltà, ma non deve trasformarsi in un alibi per annacquare l’obiettivo.
Perché conta prima di Belém
Il timing è stretto: i ministri devono blindare il pacchetto prima del vertice dei leader alla COP30 di Belém. L’Ue vuole arrivare in Amazzonia con mandato definito — target 2040 e Ndc 2035 — per guidare il negoziato su rinnovabili, bioenergie sostenibili e finanza. Mostrarsi unita ora significa mettere pressione ai grandi emettitori e contenere l’effetto del ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi.
Chi spinge e chi frena
Nord e Ovest del continente chiedono ambizione e regole severe sulla qualità dei crediti e sul monitoraggio; Sud e parte dell’Est puntano a maggiore flessibilità su tempi e percentuali per non penalizzare competitività e occupazione. In mezzo, la presidenza di turno ha cucito una bozza che prova a mantenere intatto il numero “−90” e a spostare la discussione su strumenti e salvaguardie, non sui numeri-simbolo.
Le frasi-chiave dei negoziati
“Questa è l’ultima occasione per dimostrare che l’Europa prende sul serio i propri impegni prima che il mondo si riunisca a Belém”, ha osservato un diplomatico Ue coinvolto nei negoziati.
“Dal 2036 potrà contribuire una quota limitata pari al 3% delle emissioni nette del 1990, in linea con regole robuste sui crediti”, ricordano fonti della Commissione sul disegno originale.
I prossimi passaggi
Se oggi arriva la maggioranza qualificata — almeno 15 Paesi che rappresentano il 65% della popolazione Ue — il testo passerà alla definizione tecnica di metrica, governance dei crediti, criteri Lulucf e timeline per l’Ndc 2035. In caso contrario, si aprirà un negoziato lampo per evitare l’atterraggio a Belém senza una posizione europea.