Pranzo domenicale, cucina italiana e polemiche: la Rai nel mirino dell’opposizione ma dal governo la difesa è ferrea.
Il collegamento di Giorgia Meloni con Domenica In dall’evento “Il pranzo della domenica” ha acceso una polemica che investe funzione e limiti del servizio pubblico. La premier è intervenuta dal Tempio di Venere, con vista Colosseo, durante la giornata dedicata alla candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Unesco. La cornice era istituzionale e scenografica; il dibattito, immediato: valorizzazione culturale o vetrina politica?
Il fatto: cosa è successo
Nel corso della diretta, Meloni ha legato l’iniziativa alla cultura materiale degli italiani e al valore identitario del cibo, ricordando le domeniche d’infanzia: “Di solito le passavo con i nonni materni”, con un ricordo affettuoso per le pastarelle, “compreso il diplomatico”. A Roma erano presenti figure istituzionali di governo e territorio, a sottolineare la dimensione nazionale e locale dell’evento. La trasmissione ha poi aperto collegamenti con altre città italiane in un racconto itinerante della tradizione.
Le reazioni: accuse, difese, sfumature
L’opposizione ha letto il collegamento come uno spot politico confezionato in fascia di massimo ascolto. Elly Schlein ha incalzato: “La premier evita il Parlamento sui dossier internazionali, ma trova il tempo per gli spot sull’ammiraglia del servizio pubblico”. Dello stesso tenore la critica di Barbara Floridia, che ha parlato di occasione inopportuna: “In una trasmissione molto seguita e a ridosso di consultazioni locali, questo non è un segnale di equilibrio”.
Dalla maggioranza, la replica è stata netta. Francesco Filini ha liquidato le accuse come “polemiche pretestuose e surreali”, mentre Galeazzo Bignami ha rivendicato l’impostazione: “Sostenere l’Italia significa promuoverne cultura e tradizioni, a prescindere da chi governa”. La Rai ha difeso la scelta editoriale definendola “una pagina di autentico servizio pubblico”, ricordando il coinvolgimento di città amministrate da schieramenti diversi. L’Usigrai, al contrario, ha contestato la natura dell’intervento, classificandolo come “spot elettorale in fascia pregiata”.
Il contesto Unesco e i numeri
Il dossier della candidatura Unesco punta a riconoscere non tanto singole ricette, quanto un “rito” sociale: la pratica della convivialità, i gesti, le abitudini, la trasmissione dei saperi. La posta in gioco è ampia: visibilità internazionale, attrattività turistica, tutela delle filiere e contrasto all’Italian sounding. Sul piano economico, il perimetro della cucina italiana è spesso stimato intorno ai 250 miliardi di euro nel mondo, mentre le imitazioni possono generare un danno valutato in oltre 120 miliardi l’anno.
La data chiave è fissata a dicembre 2025, quando a Nuova Delhi i delegati decideranno se iscrivere la tradizione alimentare italiana nella lista del Patrimonio immateriale. Fino ad allora, l’attenzione comunicativa rischia di sovrapporsi alla contesa politica.
Analisi: propaganda o servizio pubblico?
In un clima segnato da tensioni internazionali e scadenze elettorali locali, ogni apparizione mediatica del premier diventa un test sul pluralismo. La promozione della cucina italiana è un obiettivo condivisibile e strategico — identità, export, turismo — ma la scelta della cornice televisiva e della fascia oraria alimenta l’accusa di propaganda. Il confine è sottile: da un lato, un racconto che valorizza tradizioni e imprese; dall’altro, il rischio di utilizzare l’emotività domestica per capitalizzare consenso.
Il nodo irrisolto del servizio pubblico
La domenica televisiva di Meloni mette a nudo il nodo irrisolto del servizio pubblico: come raccontare il Paese senza trasformare la cultura in passerella politica. Il verdetto Unesco potrà dare slancio a filiere, territori e professioni; nel frattempo, la Rai è chiamata a garantire equilibrio editoriale e trasparenza, perché la promozione dell’identità nazionale non perda credibilità nel rumore della contesa partitica.