Il Regno Unito è vicino a un passaggio che cambierebbe gli equilibri del dossier mediorientale: Downing Street si prepara a riconoscere lo Stato di Palestina, dando seguito agli impegni presi in estate nel caso in cui non fossero maturate le condizioni richieste a Israele. L’orizzonte politico è netto: spingere con un atto formale verso una soluzione a due Stati, rimettendo al centro diritto internazionale, sicurezza e prospettiva di pace.
Perché l’annuncio arriva adesso
Nelle ultime settimane il quadro sul terreno è peggiorato: crisi umanitaria a Gaza, nuove operazioni militari e un clima politico che non mostra inversioni. Londra, che aveva lasciato aperto uno spiraglio condizionato a un cessate il fuoco e a un impegno credibile per negoziati finali, valuta che tali condizioni non si siano concretizzate. Da qui la scelta di procedere con il riconoscimento, considerato uno strumento per imprimere una svolta diplomatica.
Le condizioni poste da Londra
Il governo britannico aveva richiesto quattro elementi chiave: stop delle ostilità su Gaza; impegno reale a una pace sostenibile basata sui due Stati; accesso umanitario pieno e sicuro; e il superamento di progetti di annessione o espansione degli insediamenti in Cisgiordania che compromettano la continuità territoriale palestinese. In assenza di segnali sufficienti, l’esecutivo ha messo in agenda l’atto politico.
Reazioni e posta in gioco
La mossa è destinata a innescare frizioni diplomatiche con il governo israeliano e a ravvivare il dibattito tra gli alleati occidentali. Sul fronte interno, il Regno Unito dovrà contendere con sensibilità divergenti: comunità e famiglie direttamente coinvolte, componenti del mondo laburista e conservatore, corpi intermedi e opinione pubblica. Al tempo stesso, la scelta di Londra potrebbe riallineare il campo europeo e favorire una convergenza con quei Paesi che considerano il riconoscimento un acceleratore negoziale, non un traguardo simbolico.
Impatto possibile sul processo di pace
Il riconoscimento non risolve i dossier più spinosi — confini, sicurezza, Gerusalemme, rifugiati — ma riporta la cornice dei due Stati a centro pagina istituzionale. Potrebbe aumentare il costo politico dello status quo, stimolare iniziative all’ONU e rilanciare missioni diplomatiche congiunte. La domanda vera è se gli attori sul terreno saranno pronti a trasformare il segnale politico in passi verificabili che riducano violenza e sfiducia reciproca.
La linea del primo ministro
Il primo ministro ha condannato più volte la sofferenza dei civili. In passato ha definito le immagini provenienti da Gaza “intollerabili”, sottolineando che riconoscere lo Stato palestinese non significa ignorare le esigenze di sicurezza di Israele, ma lavorare affinché l’unica soluzione praticabile — due popoli, due Stati — torni ad avere una traiettoria concreta.
Cosa guardare nelle prossime ore
Se l’annuncio arriverà nei tempi attesi, la discussione passerà subito a contenuto e calendario: quali atti amministrativi seguiranno, come verrà rappresentata la Palestina a Londra, quali coordinamenti europei verranno attivati e con quale postura reagiranno Washington e le principali capitali arabe. Il test di realtà sarà misurare se il gesto del Regno Unito genererà incentivi per cessate il fuoco, rilascio di ostaggi, scambi di prigionieri e ritorno a un tavolo negoziale serio.
Il punto
Londra sceglie di non restare alla finestra. Il riconoscimento mira a spostare gli equilibri diplomatici, non a cristallizzare le posizioni. Se riuscirà a rimettere in moto il processo di pace, lo diranno i prossimi passi: più corridoi umanitari, meno violenza, più politica e meno guerra.