La parabola calante dei Cinque Stelle, fenomenologia di un suicidio politico

- di: Redazione
 
C'era una volta un successo politico, non necessariamente nuovo o rivoluzionario (come insegna l'effimero manifestarsi dell'Uomo Qualunque, evaporato nel giro di pochissimo tempo), legato essenzialmente alla capacità di un comico di capire che la gente aveva le tasche piene di ladri e ladrocini e che, proponendo un modello alternativo, che celebrava la mediocrità dei suoi interpreti, captasse il consenso popolare,
L'infatuazione per i Cinque Stelle è andata avanti giusto il tempo di giocarsi alcuni jolly (Reddito di cittadinanza, e poi cervellotiche agevolazioni fiscali in edilizia) per poi cominciare a scemare, evaporando nel giro di poche elezioni, al punto che oggi la percentuale di italiani che ancora credono nell'utopia disegnata da Beppe Grillo è scesa sotto i dieci punti percentuali.

La parabola calante dei Cinque Stelle, fenomenologia di un suicidio politico

Ma quello di cui abbiamo appena parlato si può definire come uno ieri storico, mentre è il presente che merita attenzione. Soprattutto vedendo quello che sta accadendo in questi giorni, in cui il capo politico del movimento, Giuseppe Conte, ha sublimato in un ''sì, però'' la summa del suo pensiero. Che è quello di riconoscere una sconfitta (che, essendo lui a decidere tutto, non può che averlo come unico responsabile) , ma come se fosse qualcosa che non lo tocca nemmeno tangenzialmente. 
Sconfitta? Sì. Però non cambia nulla.
Davanti ad un crollo, come quello che più appuntamenti con il giudizio degli elettori hanno certificato, un minimo di autocritica si sarebbe dovuta fare. Ma non a giudizio di Conte che dice e ribadisce che i Cinque Stelle sono lui perché lui ''è'' i Cinque Stelle.
Sin qui ci potrebbe stare perché l'autoreferenzialità è una costante della politica. Ma il problema è di prospettiva perché se Conte, pur ammettendo la sconfitta, non fa lo stesso con gli errori, continuerà a perpetrarli. Sta comunque venendo a galla l'inconsistenza politica dei grillini, la maggior parte dei quali sono stati catapultati in parlamento senza nemmeno rendersi conto del gravoso compito cui erano stati chiamati. Il messaggio politico di cui il movimento doveva farsi portavoce s'è perso nelle nebbie del potere. Una cosa che, per parvenu della politica, ha avuto l'effetto del canto delle sirene, da cui sono rimasti talmente ammaliati da infilare fesserie una dopo l'altra. Inutile e ripetitivo sarebbe ricordarle, ma di questo nessuno ha fatto tesoro, a cominciare dallo stesso Conte che forse dovrebbe pensare ad un bagno nel pragmatismo, dimenticando di essere avvocato e professore e ricordando che la politica è altro. E forse oggi dovrebbe cominciare a riflettere sul fatto che le recentissime sortite di Grillo (che lo ha sferzato duramente) lo pongono davanti ad un bivio, per evitare di finire in un cul de sac. Può continuare a gestire il partito come se fosse una cosa sua (dopo essersi circondato da semplici banditori del suo pensiero) oppure pensare che qualcosa deve cambiare.

Ma stando bene attento a non interferire con il verbo di Grillo, unico caso al mondo di politico stipendiato dal movimento che ha fondato. Grillo, nell'ipotetico braccio di ferro con l'avvocato del popolo, può spendere lo spauracchio di ''vecchi'' nomi dei Cinque Stelle, come Virginia Raggi, Ma se l'ex sindaco di Roma (che ha disperso, nell'arco di tempo di cinque anni, una patrimonio enorme di voti) è una possibile alternativa, allora il futuro dei Cinque Stelle rischia di essere assai nebuloso.
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