Ginevra, 20 maggio. L’Italia ha deciso: niente firma sull’accordo globale contro le pandemie. Su 194 Paesi riuniti nella sede dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, 134 hanno detto sì al nuovo trattato per prevenire e gestire le crisi sanitarie mondiali. Undici, invece, hanno detto no. Tra questi, la Russia, l’Iran, la Siria, la Bielorussia. E l’Italia. Una compagnia non proprio esaltante per chi si vanta di far parte del salotto buono dell’Occidente. Ma per il governo Meloni, evidentemente, l’appartenenza conta meno della sovranità.
Schiaffo all’Oms, abbraccio alla sovranità: l’Italia si sfila dall’accordo pandemico globale
Il ministro della Salute Orazio Schillaci non ha avuto esitazioni: “La salute pubblica resta competenza degli Stati”. Tradotto: nessun vincolo internazionale, nessun obbligo sovranazionale. Roma non si fa imporre regole da Ginevra. Il messaggio è chiaro ed è tutto politico. È la trincea sovranista che torna ad alzarsi, proprio mentre gli altri si uniscono per evitare nuovi disastri come quello del Covid. Il governo alza il tricolore della libertà decisionale anche sulla sanità, nel nome di una linea che fa rima con autonomia a tutti i costi.
La comunità scientifica in allarme
Dall’altra parte, però, esplode la protesta degli esperti. Walter Ricciardi, già consigliere del ministro Speranza durante la pandemia, è netto: “Una scelta pericolosa, figlia dei populismi. Si abbandona la strada della sicurezza collettiva per rincorrere gli umori elettorali”. Non è il solo. Tra i tecnici dell’Istituto Superiore di Sanità e i rappresentanti delle organizzazioni mediche, l’imbarazzo è palpabile. Il rischio, dicono, è restare tagliati fuori dai meccanismi di coordinamento, dagli scambi di dati, dalla condivisione di vaccini e dispositivi. In sostanza: pagare l’ideologia con l’inefficienza futura.
Dietro le quinte della Farnesina
Fonti diplomatiche raccontano che nei corridoi della Farnesina la scelta è maturata nei giorni scorsi, tra cautela e malumori. Alcuni funzionari avevano proposto almeno un’astensione, sulla scia degli Stati Uniti. Ma Palazzo Chigi ha fatto capire che voleva un segnale forte. E così è stato. Il timore? Che accettare un accordo multilaterale significhi cedere terreno in una campagna elettorale che, tra europee e amministrative, si gioca anche sulle bandiere dell’indipendenza e della discontinuità.
Le ferite del Covid e la memoria corta
Eppure, la memoria collettiva è ancora fresca. Il piano pandemico italiano del 2020, come ricorda più di una relazione parlamentare, era obsoleto, inefficace, inadeguato. Il prezzo pagato in termini di vite e caos organizzativo è sotto gli occhi di tutti. Ma anziché rafforzare la rete, si preferisce uscirne. Il governo ribatte che non è un addio alla cooperazione, ma un modo per difendere l’interesse nazionale. Gli scienziati rispondono che l’interesse nazionale è esattamente quello di far parte di un sistema globale che funzioni meglio del disastro passato.
Un segnale per l’Europa
A Bruxelles non l’hanno presa bene. I partner europei hanno firmato compatti, e ora guardano con preoccupazione all’ennesima fuga in avanti dell’Italia. Non è solo una questione sanitaria: è una frattura politica, l’ennesima, tra Roma e il nucleo duro dell’Unione. I prossimi mesi diranno se il testo finale dell’accordo sarà modificato per accogliere le riserve italiane. Ma intanto, il segnale è stato lanciato. E suona chiaro: l’Italia si defila, mentre gli altri tentano di fare fronte comune.
Doppio calcolo: scienza e consenso
A via della Scrofa, qualcuno rivendica la scelta come coerente con il messaggio di fondo: lo Stato decide, non un comitato tecnico estero. È il riflesso della linea Meloni su tanti fronti, dalle migrazioni all’energia. La salute, insomma, come nuova frontiera identitaria. Il problema è che i virus non hanno ideologie né passaporti. E alle prossime varianti non interesserà se l’Italia avrà firmato o meno un accordo a Ginevra. Interesserà solo quanto saremo pronti. E quanto avremo investito nella rete, invece che nelle barricate.