Il Presidente di Federauto, Adolfo De Stefani Cosentino: "Il 'Decreto Rilancio' è un errore, assistenzialismo e niente aiuto alle imprese"

- di: Emilio Pennelli
 

Il mercato auto ha subito un contraccolpo durissimo per la crisi da Covid-19, abbiamo parlato dei preoccupanti dati e del futuro del settore con Adolfo De Stefani Cosentino, Presidente di Federauto.

I numeri sono da brivido: il quadrimestre gennaio-aprile 2020 ha visto un crollo del 50,69%, rispetto allo stesso quadrimestre 2019, del numero di nuove immatricolazioni di autovetture in Italia, mentre anche il mercato dell’usato è crollato del 43,17%. A marzo, il mese in cui è iniziato il lockdown del Paese, la caduta delle nuove immatricolazioni di autovetture è stata dell’85,42%, ad aprile del 97,55%. Si tratta dei dati peggiori di tutta Europa. Dal 4 maggio le concessionarie di autoveicoli hanno potuto riaprire in sicurezza per lavoratori e clienti. Che segnali stanno giungendo al momento dal mercato per il settore delle concessionarie che in Italia conta 1.373 aziende, 120 mila addetti e un fatturato da 49 miliardi di euro l’anno? È possibile fare oggi una previsione del calo che, complessivamente, subirà il mercato nel 2020?
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Le nostre previsioni sono “variabili” nel senso che tutto dipende da ciò che il Governo metterà a disposizione come incentivi per l’acquisto dell’autovettura; alla luce di questo partiamo da un minimo di 1.150.000 ad un massimo di 1.600.000; la prima ipotesi è legata all’inesistenza di incentivi".

Quando nel 2009 c’è stata la crisi dei mutui subprime il settore delle concessionarie contava 2mila 950 aziende. Poi le vendite sono calate del 23% e la metà dei concessionari è saltata in aria. Il mercato si è successivamente ripreso, ma il numero delle aziende concessionarie è sceso in Italia a 1.373, lasciando sul campo 1.577 imprese. In definitiva, quante altre concessionarie rischiano di saltare con questa nuova crisi da Covid-19?
"Un recente studio, a mio parere pessimistico, ritiene che il 70% dei concessionari è a rischio chiusura; io ritengo che su 120.000 possa sussistere un rischio di 30.000 occupati in meno; anche questa cifra è fortemente condizionata alla capacità del Governo di porre sul mercato stimoli ed incentivi per la ripresa del mercato".

Veniamo al dunque. Non si contano i suoi appelli e le sue critiche ai provvedimenti emanati dal Governo. Cosa è mancato nel sostegno al vostro settore (che va inquadrato nel sostegno all’intera filiera dell’Automotive, che rappresenta circa il 10% del Pil italiano e impiega oltre 1,2 milioni di lavoratori), soprattutto sul fronte strategico della liquidità? Quali delle vostre proposte sono state accettate e quali invece restano in attesa di risposte? Quali, in altre parole, i provvedimenti necessari nell’immediato per evitare la chiusura delle aziende, con tutto quel che ne consegue anche in termini di occupazione?
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Il Governo ha fatto un solo errore: ha chiamato Decreto “rilancio” l’ultimo decreto legge di questo mese. La parola rilancio non ha nulla a che vedere con un documento che destina oltre l’80% delle risorse all’assistenzialismo ed a norme “ideologiche”. Mi spiego meglio: la gran parte delle risorse sono andate per la Cassa Integrazione, che sono indispensabili, ma non hanno nulla a che fare con il RILANCIO. Le proposte sull’automotive sono solo per aumentare la dotazione al decreto “Bonus Malus” della legge di bilancio 2018, che ha prodotto risultati piuttosto modesti nel 2019. Questi dovrebbero essere, per il Governo, degli incentivi. Io ho un’altra concezione degli incentivi, infatti dovrebbero essere strumento per il rinnovo del parco e, quindi, per uno stimolo del mercato; come ho detto prima, il mercato del 2019, rispetto al mercato 2018, è rimasto praticamente uguale, quindi si può decisamente affermare che questi incentivi non sono serviti a rilanciare il mercato. Nel decreto “RILANCIO” hanno finanziato ancora questi incentivi. Non aggiungo altro, ma spero di essere stato chiaro!"

Un problema nel problema. Negli ultimi anni un numero impressionante di piccole-medie imprese dell’autotrasporto ha chiuso i battenti, mentre realtà medio-grandi sono emigrate in altri Paesi, a causa dell’assenza di misure strutturali che consentano alle aziende di sopravvivere ed essere competitive. Questa crisi da Covid-19 rischia di essere la mazzata definitiva per questo comparto. Cosa andrebbe fatto per evitarlo, sia in termini di misure congiunturali che strutturali?
"Le aziende di autotrasporto sono aziende che, pur avendo sede in qualsiasi posto, di fatto si possono muovere (ovvero trasportare) in qualsiasi paese. Da troppi anni questo settore è stato “dimenticato” dai nostri governanti, non è mai esistita una strategia sul trasporto su gomma ed oggi ci ritroviamo “invasi” da autotrasportatori di tutta Europa e con un parco circolante vetusto, insicuro ed inquinante; a mio parere, per una questioni di sicurezza stradale e per una questione di inquinamento dovrebbero essere messi “fuori legge” gli autocarri con un’anzianità superiore ai 20 anni impedendo loro la circolazione (sia che siano targati in Italia, sia che siano esteri)".

L’onda di questa crisi gravissima del settore dell’Automotive, con previsioni da brividi in tema di calo del Pil italiano nel 2020, appare purtroppo destinata ad essere lunga. Lei ha parlato della necessità di incentivi robusti per i consumatori. Come potrebbero essere strutturati?
"Pensi che solo in Italia tra tutti i 27 paesi dell’UE, per il popolo della partite iva, l’ammortamento dell’autovettura è quasi inesistente e solo in Italia l’iva non è totalmente detraibile. Se solo si ponesse fine a questa anomalia certamente il mercato riprenderebbe (chiediamo di essere uguali agli altri paesi europei, non chiediamo la luna!). Altro aspetto è quello legato al blackout che ha avuto la filiera dell’automotive con la chiusura delle fabbriche (sia di fabbricazione automobilistica, sia di componentistica). La ripartenza non è semplice ed immediata: da qui la richiesta di un incentivo governativo fino al 31 dicembre 2020, peraltro subordinato ad uno sconto in egual misura da parte nostra, sulle autovetture a stock presenti in Italia al momento della chiusura. Questa misura introdurrebbe una agevolazione sia per noi che per i clienti e favorirebbe lo smobilizzo rapido degli immobilizzi".

Allargando il quadro all’Unione europea, anche per fare paragoni e indicare ‘best practices’ da imitare, come si stanno comportando in termini di aiuti al settore altri grandi Paesi a cominciare da Francia e Germania?
"Il paragone è difficile per due motivi: il nostro paese ha un debito pubblico che non gli consente una politica espansionistica, e abbiamo il parco più vecchio d’Europa. La vera best practices dovrebbe essere “pianificare” non fare provvedimenti dell’ultimo minuto per tamponare le falle (in Veneto dicono: peggio il tacòn del buso!)".

Lei ha affermato che, per salvare il maggior numero di concessionarie, è indispensabile anche “il concorso dei costruttori, dai quali ci spettiamo un supporto importante specie nella gestione degli ingenti stock presso le concessionarie, senza trascurare l’intervento per il riequilibrio della gestione economica in presenza del crollo dei volumi”. E ha continuato dichiarando che, “se registriamo il ruolo attivo di molte case automobilistiche, dobbiamo stigmatizzare le situazioni, ascrivibili al comportamento del management di altre case automobilistiche, di inaccettabile ed ingiustificato ritardo, assolutamente non correlato allo stato di urgente bisogno delle concessionarie”. Come sta evolvendo la situazione su questo fronte?
"Le mie dichiarazioni hanno destato irritazione in alcune case; mi rendo conto che le critiche non piacciono a nessuno, ma noi siamo qui per interpretare il sentiment di tanti concessionari. Certo, le situazioni non sono tutte uguali. Ma dal settore sale forte la richiesta di trovare un riequilibrio nel rapporto".

Lei indica moto spesso la necessità della revisione della fiscalità italiana sugli autoveicoli per alienarla ai livelli degli altri Paesi europei. Quanto è davvero strategico questo elemento, quali sono i divari reali rispetto agli altri grandi Paesi dell’Ue e su quali aspetti specifici sarebbe necessario intervenire?
"Ho già parzialmente risposto quando lei mi ha chiesto proposte sugli incentivi; le aziende italiane si detraggono poco più di 3.600 euro di ammortamento su un’autovettura indipendentemente dal prezzo d’acquisto; in Germania invece vige un ammortamento annuo pari al 20% del prezzo d’acquisto; in altri paesi è simile, ma con un limite massimo di 50.000 euro. In tutt’Europa un’autovettura che costi 100 oltre iva il costo è pari a 100; in Italia invece è pari a 113,2 (l’iva è detraibile solo per il 40%). Se il popolo delle partite iva in Italia fosse uguale al resto d’Europa, cambierebbe l’autovettura più velocemente (ogni 30/32 mesi) e questo consentirebbe di porre sul mercato dell’usato (che è quasi esclusivamente destinato ai privati) di mettere sul mercato autovetture “fresche” non inquinanti e più sicure al fine di ringiovanire il parco obsoleto inquinante e insicuro composto dalle vetture euro 0; 1; 2; 3 e 4. Chi ha un’autovetture vecchia, nel 90% dei casi, ha una capacità di spesa molto inferiore alla media nazionale".

Una domanda che si attende una risposta fuori dai denti. Lei ha dichiarato: “È il momento di capire che il mercato dell’Automotive può dare una forte spinta alla crescita del Paese ed un costo sociale più basso determinato dalla minore chiusura di aziende facenti parte della filiera”. Questa necessità, nel suo complesso, dopo una sottovalutazione iniziale è stata ben compresa dal Governo, oppure no?
"Le rispondo così: legga la bozza del decreto Rilancio e si dia la risposta da solo!"

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