Unicredit: il crepuscolo di Mustier rilancia l'operazione Montepaschi

- di: Diego Minuti
 
Come accade con la figurina di un album dei calciatori che, dopo essere stata ricercatissima all'inizio, si trova in quasi tutte le bustine e per questo perde di valore, lo stesso è accaduto a Jean Pierre Mustier, acclamato all'inizio del suo mandato da amministratore delegato di Unicredit e che ieri ha dovuto annunciare che, alla fine del suo mandato, toglierà il disturbo.

Non uscirà dalla sede dell'istituto con il classico scatolone pieno di carabattole in mano, ma l'immagine è quella. Di spazio per lui, ad Unicredit, ne era rimasto poco anche perché la sua ritrosia a non perfezionare l'operazione Monte dei Paschi gli aveva alienato molte ed importanti amicizie nel mondo politico che, come sempre accade, guarda al mondo della banche non come un'oasi naturalistica, ma come un posticino dove andare a fare un picnic quando se ne ha voglia.

Mustier ha cercato di imporre la sua linea, come è giusto attendersi da un ceo che ha il solo vincolo di rispondere ad un consiglio d'amministrazione. Ma il CdA però solo inizialmente gli è stato accanto, prendendone nel tempo le distanze per alcune operazioni sia fatte o che avrebbe avuto in animo di perfezionare, ma che spingono Unicredit un po' troppo in avanti rispetto al mandato che gli era stato conferito.

Così, alla fine, Mustier se ne andrà alla scadenza del suo mandato, in primavera, dopo essere arrivato in Unicredit nel 2016 subentrando a Federico Ghizzoni. La formula usata - andare via ad aprile "in modo da consentire al consiglio di definire la strategia futura" - ha poco senso se non si legge la premessa che spiega tutto, laddove Mustier dice che "nel corso degli ultimi mesi la strategia del piano Team 23 e i suoi pilastri fondanti non sono più in linea con l'attuale visione del Cda". Quindi, sembra dire Mustier, quel piano oggi non è più in linea con il Cda, ma forse lo è stato e quindi, conseguenzialmente, lascio il mio posto.

Non è una decisione che ha colto di sorpresa più di tanto perché alcune delle operazioni che Mustier intendeva perfezionare non erano molto apprezzate, soprattutto quando il progetto di fare di Unicredit una banca "paneuropea" era stato inteso come il segnale di uno scorporo delle attività casalinghe rispetto alle altre. Sin dai suoi primi passi da amministratore delegato, Mustier ha fatto capire di guardare a fatti concreti e, quindi, di non volere passare per un finanziere visionario, di quelli che vogliono integrare il profitto puro - che resta sempre l'obiettivo principale - con operazioni di respiro ampio, magari guardando al mondo reale che sta al di là del vetro dello sportello di una agenzia.



Al punto che, quando ancora era saldamente al comando di Unicredit, gli sono cominciate a piovere addosso delle considerazioni non positive, dal momento che si è cominciato a pensare a lui come un semplice raddrizzatore di situazioni in sofferenza e non invece come ad un costruttore di futuro come forse qualcuno sperava. I tagli sono arrivati implacabili, come la cessione di "gioielli" che, come nel caso dei fondi Pioneer, sono andati a finire nel portafoglio di chi gli ha portato i soldi richiesti: tre miliardi e mezzo di euro, arrivati da Amundi. Decisioni che non sono state gradite o comprese da tutti, considerando che la voglia di fare cassa ha forse umiliato il reale valore delle attività cedute.

Ma il vero campanello d'allarme, quello che ha indicato come imminente la fine della corsa, è stato l'arrivo, in ottobre, in Unicredit di Pier Carlo Padoan con in tasca la nomina di prossimo presidente. Quasi un avviso di sfratto, considerato che ben difficilmente Padoan potrebbe distaccarsi da quella corrente del governo che crede nell'operazione Montepaschi, avversata da Mustier e che probabilmente gli è costata, con a fiducia, anche la poltrona.
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