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Musk attacca l’Europa: «Quarto Reich». E fa il dispettuccio all’Ue

- di: Jole Rosati
 
Musk attacca l’Europa: «Quarto Reich». E fa il dispettuccio all’Ue
Musk oscura l'Ue su X: «Quarto Reich» e bandiera in rivolta
Multa da 120 milioni, accusa di «Quarto Reich», stop allo spazio pubblicitario dell’Ue e campagna pro-europea «This is my flag»: lo scontro fra Musk e Bruxelles entra in fase di guerra fredda digitale.

Da una parte la prima grande multa europea contro X, dall’altra Elon Musk che ribalta il tavolo evocando il «Quarto Reich» e chiudendo lo spazio pubblicitario della Commissione europea sulla sua piattaforma. In mezzo, una valanga di reazioni politiche e una mobilitazione online senza precedenti, con migliaia di utenti che trasformano la bandiera blu a dodici stelle in simbolo di difesa dell’Unione.

Quello in corso non è più un semplice contenzioso regolatorio: lo scontro tra il proprietario di X e Bruxelles è diventato un conflitto aperto sul controllo del discorso pubblico digitale, sul perimetro della libertà di espressione e sul peso delle piattaforme nella politica europea e transatlantica.

Dalla multa da 120 milioni allo strappo pubblico

Il detonatore arriva il 5 dicembre 2025, quando la Commissione europea commina a X una sanzione da 120 milioni di euro per violazione del Digital Services Act (DSA). Nel mirino ci sono tre elementi: il sistema delle spunte blu trasformato in un servizio a pagamento senza reale verifica, la scarsa trasparenza dell’archivio pubblicitario e gli ostacoli all’accesso ai dati per i ricercatori indipendenti. L’azienda ha fra 60 e 90 giorni per adeguarsi, con la minaccia di sanzioni ben più pesanti se le violazioni dovessero proseguire.

Musk reagisce subito e alza i toni: la multa viene descritta come una ritorsione politica, il DSA come un pretesto per imporre censura, l’Unione europea come un’istituzione dominata da «burocrati non eletti». In parallelo, il miliardario sostiene – senza fornire prove – di aver rifiutato un presunto accordo segreto con Bruxelles che avrebbe scambiato l’assenza di multe con una moderazione “occulta” dei contenuti sgraditi alle istituzioni.

La svastica sotto la bandiera Ue e l’etichetta di «Quarto Reich»

Il punto di rottura simbolico arriva il 7 dicembre. Musk rilancia su X un’immagine che mostra la bandiera dell’Unione europea sollevata, sotto la quale compare una bandiera nazista con la svastica. Il post originale definisce l’Europa «quarto Reich»; il proprietario di X commenta con un secco «praticamente», ribadendo poi nei messaggi successivi che, a suo giudizio, l’Ue sarebbe «quasi» un quarto Reich e che la sovranità andrebbe restituita agli Stati nazionali.

L’accostamento fra Unione europea e nazismo, per di più tramite un simbolo come la svastica, provoca un’ondata di indignazione nelle capitali dell’Unione. Ma offre anche un pretesto ai circoli più euroscettici, che rilanciano la narrazione di Bruxelles come super-Stato autoritario, in scia alle critiche già esplose a novembre sulla legittimità democratica della Commissione e sul famoso scambio online fra Musk e Ursula von der Leyen.

La mossa ritorsiva: cancellato lo spazio pubblicitario della Commissione

In parallelo alla tempesta di post, X annuncia di aver chiuso l’account pubblicitario utilizzato in passato dalla Commissione europea. La decisione viene spiegata dal responsabile strategico di X, Nikita Bier, come risposta a un presunto uso scorretto degli strumenti della piattaforma: Bruxelles avrebbe sfruttato una falla tecnica del sistema – un exploit nel cosiddetto Post Composer – per pubblicare un link camuffato da video, gonfiandone artificialmente la visibilità nel feed degli utenti.

Bier sostiene che la Commissione abbia utilizzato un vecchio account adv e un formato speciale progettato per gli annunci, trasformando un contenuto istituzionale in un post pubblicitario non dichiarato. Di qui la scelta di “terminare” quello spazio.

Da Bruxelles arriva però una replica secca: nessun uso scorretto, nessun trucco. Un portavoce dell’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen rivendica l’impiego «in buona fede» degli strumenti ufficiali messi a disposizione dalle piattaforme, Post Composer compreso, e ricorda due dettagli cruciali: la Commissione ha interrotto ogni forma di pubblicità e servizi a pagamento su X da ottobre 2023 e il Composer è inattivo da settimane, quindi non c’è alcun nesso con la multa DSA notificata il 5 dicembre.

Tradotto: lo stop allo spazio pubblicitario appare più come una ritorsione politica dal forte valore simbolico che come la risposta a una reale violazione delle regole interne di X, soprattutto alla luce del fatto che l’account in questione era già sostanzialmente inutilizzato.

Varsavia: «Vai su Marte» e l’eco di Mosca

La crisi, intanto, si allarga sul piano geopolitico. Da Varsavia, il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski invita Musk a «trasferirsi su Marte» se ritiene l’Ue irriformabile, sottolineando che a Bruxelles si discute con governi eletti, non con miliardari che gestiscono piattaforme private.

In Russia, invece, le parole del fondatore di X trovano sponda: l’ex presidente e oggi vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitri Medvedev, plaude all’idea che l’Unione venga “abolita” e che la sovranità torni ai singoli Stati, leggendo le frasi di Musk come conferma della fragilità del progetto europeo.

Il tutto si innesta su un contesto già incandescente: l’Europa è impegnata a dialogare con Washington sulla nuova dottrina di sicurezza nazionale varata dall’amministrazione Trump, che enfatizza la competizione con Cina e Russia e, secondo i critici, guarda con sospetto crescente alle regolazioni europee sui colossi tecnologici.

Musk contro l’Ue: fra «abolizione» e guerra alla regolazione

Nei giorni successivi alla multa, Musk non arretra di un millimetro. In un post che fa il giro del mondo, scrive che «l’Unione europea dovrebbe essere abolita» e che la sovranità va restituita ai singoli Stati membri. Nel suo racconto, la sanzione da 120 milioni non è la risposta a violazioni specifiche del DSA, ma il conto presentato a X per non essersi piegata a un presunto sistema di censure concordate.

È una narrativa costruita con cura: da un lato Musk si presenta come difensore della libertà di parola contro un’“eurocrazia” repressiva; dall’altro riduce le contestazioni tecniche (spunte blu, trasparenza pubblicitaria, accesso ai dati) a semplici scuse burocratiche.

Dall’altra parte dell’Atlantico, una parte del fronte trumpiano fa quadrato. Esponenti come JD Vance e Marco Rubio criticano apertamente Bruxelles, descrivendo la multa a X come un attacco politico contro una grande azienda statunitense e un tentativo dell’Ue di esportare il proprio modello regolatorio al resto del mondo.

Cosa contesta davvero il DSA: spunte blu, pubblicità opache e dati blindati

Dietro le schermaglie, il dossier europeo resta molto concreto. La decisione della Commissione arriva dopo un’indagine di circa due anni, aperta già nella fase più turbolenta della gestione Musk.

Spunte blu “a pagamento”. La trasformazione del vecchio sistema di verifica – che certificava l’identità di figure pubbliche – in un abbonamento acquistabile da chiunque, senza verifiche sostanziali, viene considerata un “design ingannevole”. L’utente, vedendo la spunta, è portato a ritenere l’account più affidabile, ma dietro potrebbe esserci chiunque, con il rischio di truffe, impersonificazioni e campagne coordinate di manipolazione.

Archivio pubblicitario lacunoso. Il DSA impone registri pubblici degli annunci chiari e consultabili, con indicazioni su chi paga, a chi è destinato l’annuncio, per quanto tempo viene mostrato. Nel caso di X, Bruxelles parla di informazioni mancanti, interfacce poco usabili e accesso ai dati insufficiente, che rendono estremamente difficile monitorare campagne politiche e di disinformazione.

Dati per i ricercatori sotto chiave. Terzo punto chiave: la piattaforma non garantirebbe un accesso effettivo ai dati pubblici per i ricercatori certificati, al contrario di quanto prevede la normativa europea. Questo, per la Commissione, impedisce di valutare i rischi sistemici legati all’odio, alla violenza online e alle interferenze straniere.

Per l’esecutivo Ue, la multa e gli obblighi imposti a X sono quindi la prova che il DSA non è solo un manifesto politico, ma uno strumento operativo con sanzioni concrete.

La controffensiva europeista: «This is my flag»

Se Musk brandisce la svastica, una parte consistente dell’opinione pubblica europea reagisce con la bandiera blu a dodici stelle. In poche ore su X prende forza l’hashtag «This is my flag»: utenti, funzionari, diplomatici e personalità pubbliche postano la bandiera dell’Unione accompagnata da messaggi in difesa di pace, democrazia, stato di diritto e unità europea.

Fra i primi ad aderire spiccano figure di peso come Jacques Attali, storico consigliere dell’Eliseo da Mitterrand a Macron, e la presidente della Banca europea per gli investimenti, Nadia Calviño, che rivendicano la bandiera Ue come simbolo di un progetto di integrazione storicamente senza precedenti.

A rafforzare il controcanto arriva il diplomatico tedesco Sebastian Fischer, che rilancia il celebre murale «The future is Europe», per anni visibile a pochi passi dal Berlaymont, quartier generale della Commissione. Il messaggio è trasparente: la risposta al paragone col nazismo è una riaffermazione pubblica e orgogliosa del progetto europeo, proprio sulla piattaforma controllata da Musk.

Bruxelles al contrattacco: «Usiamo gli strumenti di X in buona fede»

Sul fronte ufficiale, la Commissione mantiene toni istituzionali ma netti. I portavoce ribadiscono che tutti i canali social sono usati nel rispetto dei termini di servizio e delle leggi europee, che gli strumenti messi a disposizione dalle piattaforme – Post Composer incluso – devono restare compatibili con il diritto dell’Unione e che la multa a X nasce da un procedimento formale, basato su evidenze tecniche, impugnabile davanti ai tribunali europei.

Bruxelles rimarca anche un altro concetto: ciò che è illegale offline deve esserlo anche online. Non si tratta, insiste la Commissione, di giudicare le opinioni politiche espresse da Musk, ma di garantire trasparenza, tracciabilità delle campagne e strumenti adeguati per studiare i fenomeni di disinformazione e manipolazione.

La domanda che agita i palazzi Ue: si può fare a meno di X?

Dietro le quinte, però, la crisi riapre un interrogativo che aleggia da anni a Bruxelles: quanto è opportuno affidare una parte così rilevante della comunicazione istituzionale a una piattaforma privata, controllata da un unico azionista, che si comporta sempre più da attore politico?

Già nel 2023 l’allora commissario al Mercato interno Thierry Breton aveva voluto dare un segnale spostando parte della sua attività social su Bluesky, nel pieno della polemica su fake news e moderazione dei contenuti. Da allora, ogni nuova frizione con X riaccende il dibattito sulle alternative: Bluesky, Threads di Meta, i social federati come Mastodon.

L’attuale responsabile Ue per il digitale, Henna Virkkunen, per ora non annuncia rivoluzioni. Ma, dopo l’accusa di «Quarto Reich» e la chiusura dello spazio pubblicitario, la domanda rimbalza con forza nei corridoi del Berlaymont: continuare a investire tempo e risorse su X o accelerare la diversificazione verso altre piattaforme?

Nel frattempo, gli analisti ricordano che proprio la concorrenza di nuove piattaforme – da Bluesky a Threads – sta mettendo in discussione il ruolo di X come “piazza pubblica globale”, mentre la scelta dell’Europa di spingere su regole e sanzioni potrebbe influenzare anche le decisioni di governi e regolatori in altre parti del mondo.

Un crash test per il Digital Services Act

Al netto delle iperboli retoriche, il caso Musk-Ue rappresenta il primo vero crash test del DSA. Se Bruxelles riuscirà a far valere la multa, a imporre correzioni concrete e a garantire più trasparenza ai ricercatori, il messaggio sarà chiaro: le grandi piattaforme non sono intoccabili e l’Europa può fare scuola nel campo della regolazione digitale.

Se invece la vicenda dovesse finire impantanata in una lunga battaglia legale senza cambiamenti sostanziali, o se X dovesse arrivare a ridurre drasticamente servizi e funzionalità nel territorio dell’Unione, i critici del DSA avrebbero argomenti per definirlo un gigante normativo dai piedi d’argilla.

In ogni caso, la posta in gioco va ben oltre i rapporti fra un tycoon e la Commissione: riguarda chi controlla l’infrastruttura del dibattito pubblico, quanto spazio siano disposte a concedere le democrazie alle regole comuni nel mondo online e quanto potere vogliano continuare ad affidare a piattaforme che, come X, possono oscurare in poche ore persino gli account delle istituzioni che le vogliono regolamentare.

Cosa succede adesso

Nei prossimi mesi la partita si giocherà su più tavoli:

  • Giustizia europea: X potrà impugnare la decisione davanti ai tribunali Ue, contestando nel merito l’interpretazione del DSA e l’entità della sanzione.
  • Regole e adeguamenti: la Commissione monitorerà se e come la piattaforma modifica spunte blu, archivio pubblicitario e accesso ai dati per i ricercatori, con la possibilità di aprire nuovi procedimenti se i correttivi fossero giudicati insufficienti.
  • Politica e opinione pubblica: Musk continuerà verosimilmente a presentarsi come vittima di un’Europa illiberale, mentre il fronte europeista punterà a trasformare la crisi in una prova di forza della capacità Ue di imporre standard globali.

Una cosa, però, è già evidente: dopo l’accusa di «Quarto Reich», il “vai su Marte” polacco e la chiusura dello spazio pubblicitario della Commissione, il rapporto tra Musk e l’Unione europea è entrato in una fase di gelo strutturale. E da come finirà questa storia dipenderà anche il modo in cui, domani, parleremo di politica, diritti e democrazia nello spazio digitale.

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