Cinque Stelle: sul doppio mandato un dramma tutto da ridere
- di: Redazione
Cercare di capire quel che sta accadendo nei Cinque Stelle è un'impresa che avrebbe fatto tremare i polsi anche ad un Sigmund Freud in gran forma. È una sorta di dramma, ma con forti pennellate di comicità, con l'arrivo a Roma di Beppe Grillo atteso come quello di un novello Messia e che si è tradotto in una imbarazzante fase di stallo in un movimento che non si riconosce più, perché stanno via via cadendo tutti i pilastri della sua esistenza. Che non saranno sette, come quelli della saggezza, ma che non ce la fanno proprio a reggere il peso di una situazione diventata insostenibile.
Proseguono i tumulti nel Movimento Cinque Stelle, con l'arrivo di Beppe Grillo a Roma
A dare l'ultima spallata, ferocemente osteggiata dai grilli ortodossi (rimasti in pochi, a dire il vero), è stata la sola idea che sarebbe passata per la testa di Grillo (pur sempre il garante del partito) di ipotizzare che la regola del divieto del doppio mandato potesse essere emendata, ma solo ''leggermente'' perché ad essa si poteva applicare una piccola deroga a quella che un tempo era la lama di una ghigliottina e ora è solo un semplice buffetto. Riepilogando: all'inizio della loro avventura i Cinque Stelle, tra un ''vaffa'' e l'altro, hanno posto, come limite invalicabile, quello dei due mandati per evitare che la politica, come si usava dire, diventasse una professione.
Affascinante come progetto, ma che non ha tenuto conto di una cosa, la componente umana che permea l'attività di ogni giorno e che rende difficile, una volta conquistate determinate posizioni di prestigio, fare un passo indietro, come se nulla fosse accaduto. Ma quel limite, si diceva, non era trattabile: chi si candidava con i Cinque Stelle sapeva che non si poteva andare oltre i due mandati, punto e basta.
Un argomento bello, se te ne fai forte non appena cominciata la tua avventura parlamentare, ma che lo è meno quando, dopo otto/nove anni vedi la fine (politica e quindi l'oblio) avvicinarsi e non ci stai.
La mini-deroga pensata - ma, allo stato, congelata - da Grillo avrebbe salvato una sparuta pattuglia di maggiorenti grillini e i sussurri e gli spifferi parlavano del presidente della Camera, Roberto Fico (forse con un occhio alle Regionali in Campania, ora che Luigi Di Maio ha tolto l'incomodo), di Vito Crimi, che è stato reggente; di Paola Taverna, oggi impeccabile vicepresidente del Senato, dopo avere abbandonato la prima linea grillina e i toni barricaderi; di Alfonso Bonafede, ex ministro della Giustizia e molto legato a Giuseppe Conte. Da un punto di vista politico, salvare questa pattuglia di veterani non farebbe una grinza, considerato che garantirebbero una continuità che il limite del secondo mandato impedirebbe. Poi, aggiungiamo, Giuseppe Conte ha l'esigenza fortissima di avere accanto e davanti politici di cui si fida in modo totale, per evitare che rigurgiti scissionisti possano riemergere, magari da parte di chi s'aspetta un riconoscimento che non arriva.
Ma è il principio stesso della deroga che non convince, perché non si tratterebbe della conclusione di un processo di selezione, come si dice quando c'è un concorso, per titoli e per pubblicazioni, ma solo la scelta insindacabile di chi - Grillo - ha una posizione tutta sua, in cui si diverte (cosa ci sia da divertirsi, poi, è un mistero) a usare i Cinque Stelle come un giocattolo per le sue sortite, non capendo che mai come oggi il movimento avrebbe bisogno di una guida vera. Cosa che, a dirla tutta, a Giuseppe Conte non è riuscita.
Dire: tu no, tu no, tu no, tu sì, ma solo perché lo dico io, è rinnegare tutto. Perché poi, se abolisci la regola del doppio mandato, solo per alcuni amici, non puoi aspettarti, da qui alle politiche del 2023, quell'obbedienza di cui tutti parlano oggi, ma dopo che Di Maio s'è portato via mezzo partito.