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Manovra, quando lo Stato paga solo chi è in regola: la nuova regola per i professionisti

- di: Anna Montanari
 
Manovra, quando lo Stato paga solo chi è in regola: la nuova regola per i professionisti

Non è una novità assoluta, ma è una svolta. Nella manovra di bilancio prende forma una norma che cambia il rapporto tra Pubblica amministrazione e liberi professionisti: il pagamento delle parcelle, in particolare il saldo finale, diventa subordinato alla regolarità fiscale e contributiva. E non solo nei casi in cui a pagare è direttamente la Pa. La riformulazione approvata dal Mef allarga il campo e rende la misura più pervasiva.

Manovra, quando lo Stato paga solo chi è in regola: la nuova regola per i professionisti

Il passaggio chiave è tutto nella nuova scrittura del testo. Non si parla più soltanto di compensi liquidati direttamente dalla Pubblica amministrazione, ma di tutti gli emolumenti dovuti per incarichi con compensi “a carico dello Stato”, anche quando il pagamento avviene tramite soggetti diversi dalla Pa. Enti, società partecipate, concessionari: se dietro c’è denaro pubblico, la regola vale.

È questo allargamento a cambiare la natura della norma. Da strumento di controllo mirato diventa principio generale: lo Stato salda solo se il professionista è pienamente in regola.

Come funziona il meccanismo
Il meccanismo è lineare e senza margini di elasticità. Il professionista può svolgere l’incarico, portarlo a termine, emettere fattura. Ma il saldo – spesso la parte più rilevante del compenso – viene bloccato in presenza di irregolarità fiscali o contributive. Non sono previste soglie minime né distinzioni per tipologia di prestazione.

Dal punto di vista del Tesoro, è un meccanismo di coerenza: chi lavora per lo Stato deve essere in regola con lo Stato. Dal punto di vista dei professionisti, è un cambio di equilibrio.

Il principio che divide
Il principio è semplice, quasi inattaccabile sul piano teorico. Ma è l’applicazione concreta a sollevare obiezioni. La norma non colpisce genericamente i fornitori della Pa: si concentra sui liberi professionisti. Avvocati, ingegneri, architetti, consulenti. Una platea ampia, spesso composta da studi medio-piccoli, per i quali il saldo di un incarico pubblico rappresenta liquidità essenziale.

È qui che nasce l’accusa di discriminazione, avanzata dagli Ordini professionali.

Le proteste degli Ordini
Le reazioni sono state immediate. Gli Ordini parlano di una misura “vessatoria e discriminatoria”, che scarica sui professionisti una funzione di controllo che dovrebbe restare in capo allo Stato. La critica è netta: si utilizza il pagamento come leva coercitiva, trasformando il professionista in una sorta di contribuente sotto condizione permanente.

C’è anche un altro punto, più tecnico ma non secondario: il rischio di blocchi automatici legati a contestazioni fiscali non definitive o a irregolarità contributive di natura formale.

Il nodo della liquidità
Il tema vero, però, è la liquidità. I professionisti che lavorano con la Pa conoscono bene i tempi lunghi dei pagamenti. Il saldo arriva spesso dopo mesi, a volte anni. Legarlo a una verifica stringente significa aumentare l’incertezza finanziaria, soprattutto per chi non ha strutture grandi alle spalle.

Per gli Ordini, la norma rischia di produrre un effetto paradossale: scoraggiare i professionisti dall’accettare incarichi pubblici, soprattutto quelli più complessi e meno remunerativi.

La posizione del Mef
Dal lato del Ministero dell’Economia, la linea è di coerenza con l’impostazione generale della manovra. La norma si inserisce nella strategia di rafforzamento della compliance fiscale e contributiva, usando il rapporto con la Pa come incentivo alla regolarità.

Il messaggio è chiaro: chi beneficia di risorse pubbliche deve essere irreprensibile nei rapporti con il fisco e con gli enti previdenziali.

Un cambio di paradigma
Al di là della polemica contingente, la norma segna un cambio di paradigma. Il pagamento non è più solo la conclusione di una prestazione, ma diventa uno strumento di politica fiscale. Una scelta che rafforza il potere selettivo dello Stato, ma che ridefinisce il ruolo del professionista nel rapporto con l’amministrazione.

Il confronto ancora aperto

La norma è nella manovra, e questo rende il margine di intervento più stretto. Ma il confronto è appena iniziato. Gli Ordini chiedono correttivi, chiarimenti, limiti applicativi. Il governo, per ora, non arretra.

Il segnale che arriva è netto: lavorare per lo Stato non è solo una questione di competenze, ma anche – e sempre di più – di posizione fiscale.
E questa volta il saldo non è solo contabile.

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