Via libera definitivo alla Camera, tra cartelli, sarcasmi e accuse incrociate: opposizioni all’attacco su sanità e pensioni, governo in modalità “prudenza e salari”.
(Foto: l'Aula della Camera dei deputati).
È stata una chiusura d’anno con i nervi scoperti e i riflettori puntati su Montecitorio: la legge di bilancio 2026 ha ottenuto il via libera definitivo alla Camera con 216 voti favorevoli, 126 contrari e 3 astenuti. Un finale arrivato dopo una maratona notturna e una giornata che, più che di cifre, ha parlato di clima politico: cartelli, battute, foto nei corridoi, ma soprattutto una raffica di accuse tra maggioranza e opposizioni.
Il voto e il messaggio del governo
Dal lato dell’esecutivo, la parola d’ordine è stata “responsabilità” in un contesto che viene descritto come stretto tra vincoli di bilancio e promesse da mantenere. La premier ha rivendicato una manovra “seria e responsabile”, mentre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha messo l’accento su un punto che, nel racconto del governo, sarebbe stato sottovalutato nel dibattito pubblico: la detassazione degli aumenti contrattuali e la chiusura di vari contratti pubblici rimasti a lungo in sospeso, con l’obiettivo dichiarato di trasformare i rinnovi in aumenti “netti” più visibili per i lavoratori.
Schlein: “È una manovra per chi sta già bene”
Il contrattacco più duro è arrivato dal Partito democratico. Elly Schlein ha dipinto la manovra come una scelta di campo che non intercetta i bisogni primari e che, anzi, finisce per favorire chi è già più protetto. Il suo asse è stato semplice: costo della vita e liste d’attesa come emergenze quotidiane, contro un impianto accusato di muoversi in direzione opposta.
In Aula, la segretaria dem ha parlato di una legge di bilancio “di austerità” e ha sostenuto che “aiuta i più ricchi” mentre si indeboliscono sanità, scuola e università. Poi l’affondo politico: “È tempo di pagelle”, citando un fact-checking che giudicherebbe ampiamente imprecise molte affermazioni pubbliche della presidente del Consiglio; e la promessa di battaglia: “Costruiremo l’alternativa e vi batteremo”.
Il capitolo “promesse tradite”
Schlein ha insistito su alcuni simboli che, nella narrazione dell’opposizione, rappresentano un ribaltamento degli impegni iniziali: pensioni, accise e strumenti di flessibilità in uscita. Il punto politico non è solo cosa cambia, ma come viene percepito: promesse massimaliste trasformate in ritocchi minimi, con l’accusa ricorrente di scaricare sempre altrove le responsabilità dopo tre anni di governo.
Che cosa c’è dentro: le misure più discusse
Il cuore della discussione, al di là delle bandiere di partito, è finito su alcuni capitoli che toccano milioni di persone. Tra quelli più citati nelle ricostruzioni delle testate economiche e generaliste:
- Pensioni: viene indicato un aumento graduale dell’età pensionabile legato agli adeguamenti futuri; inoltre non risulta prorogata Opzione donna secondo i riepiloghi sulle misure.
- Assegni minimi: è riportato un incremento nell’ordine di circa 20 euro al mese dal 2026 nelle sintesi delle principali misure.
- Capitoli di spesa e coperture: nel dibattito politico tornano spesso i nodi di sanità, scuola e spesa militare, con letture opposte tra chi parla di riallocazioni necessarie e chi denuncia una torsione “militarizzata” delle priorità.
Nota di contesto: i dettagli puntuali variano per platee e requisiti, ma le sintesi pubblicate nelle ore del voto convergono su questi elementi come “frontiera” dello scontro politico.
Fratoianni: “Senza speranza, con l’ombra del fiscal drag”
Nicola Fratoianni (Alleanza Verdi e Sinistra) ha scelto un registro apocalittico: la manovra, per lui, “non dà risposte” e “condanna a un futuro senza speranza”. Nel suo intervento è comparsa anche una delle espressioni più usate (e più ambigue) quando si parla di tasse senza alzare formalmente le aliquote: il fiscal drag, cioè l’effetto per cui l’inflazione e gli aumenti nominali possono spingere verso scaglioni o carichi maggiori, erodendo il potere d’acquisto se non c’è un adeguamento dei parametri.
Fratoianni ha collegato il tema fiscale all’emergenza abitativa e alla condizione dei ricercatori, sostenendo che sarebbero mancate risorse per stabilizzazioni e prospettive. E ha chiuso con il punto più divisivo: l’idea che la legge di bilancio sia “fatta di austerità” mentre cresce la spesa per la difesa, fino a evocare un’“economia di guerra”.
Magi e la denuncia sul Parlamento “messo in vetrina”
Riccardo Magi (+Europa) ha portato in Aula una protesta ad alto tasso simbolico, sventolando un cartello con la scritta “Vendesi”. Il bersaglio non era solo il merito della manovra, ma il metodo: la critica alla compressione del lavoro parlamentare e all’uso frequente di strumenti emergenziali. Nel suo intervento è comparsa anche una citazione storica, richiamando l’allarme di Giacomo Matteotti contro l’abuso di scorciatoie che svuotano l’assemblea.
M5S: “Miliardi in armi, bollette e servizi restano lì”
Per il Movimento 5 Stelle, Daniela Torto ha riassunto la manovra con una formula volutamente esplosiva: “Il cuore è un pacco a orologeria”. La linea è la stessa insistita anche da altri esponenti dell’area progressista: risorse che, nella loro lettura, vengono dirottate su capitoli militari invece che su bollette, sanità e welfare. Nel finale, il tono si è fatto radicale: “Non ci vedrà complici”, rivendicando un “no” che vorrebbe rappresentare non solo l’opposizione parlamentare ma un pezzo di società.
Il vero nodo: una manovra “tecnica” che diventa identitaria
Il paradosso di fine 2025 è questo: una legge di bilancio nata per tenere insieme conti pubblici e vincoli si è trasformata in un test identitario. Il governo la racconta come equilibrio possibile dentro risorse limitate; le opposizioni la dipingono come una scelta di priorità che sposta il baricentro dai servizi pubblici verso altro.
Nel mezzo, resta la domanda che si porterà dietro tutto il 2026: con crescita debole e pressione del costo della vita, basteranno le misure rivendicate dall’esecutivo a farsi sentire nei portafogli, oppure prevarrà la sensazione evocata in Aula — quella di una manovra che aggiusta i numeri ma lascia aperte le crepe sociali?
Cosa succede adesso
Con l’approvazione definitiva, la manovra entra in vigore con il nuovo anno e diventa terreno di verifica: non più scontro di slogan, ma attuazione. È qui che si misureranno davvero tre promesse implicite ascoltate in queste ore: salari (per il governo), sanità e servizi (per le opposizioni), equità (per tutti, almeno a parole).