(Foto: Albin Kurti, primo ministro del Kosovo).
Il Kosovo torna alle urne, ma non esce dal labirinto. Le elezioni parlamentari anticipate, convocate per spezzare dieci mesi di paralisi istituzionale, hanno riconsegnato la vittoria al partito Vetevendosje del premier uscente Albin Kurti. Ancora una volta, però, il successo non basta: i numeri non consentono di governare da soli e lo spettro di una nuova impasse politica è tutt’altro che remoto.
Vittoria netta, ma incompleta
Secondo gli exit poll diffusi dalla televisione Klan alla chiusura dei seggi, Vetevendosje si è attestata tra il 43% e il 45% dei consensi. Un risultato superiore a quello delle elezioni del 9 febbraio 2025, quando il partito si fermò poco sopra il 42%, ma comunque insufficiente per la maggioranza assoluta.
Alle spalle di Kurti si collocano il Partito democratico del Kosovo (22–23%), la Lega democratica del Kosovo (15–16%) e l’Alleanza per il futuro del Kosovo (5–7%). L’affluenza si è fermata poco sopra il 44%, in lieve crescita rispetto alla tornata precedente.
Le promesse di Kurti e la realtà delle urne
Durante la campagna elettorale, il premier uscente aveva puntato su un messaggio diretto e ambizioso. “Andate a votare in massa”, aveva ripetuto più volte, mostrando fiducia nella possibilità di superare il 50% e governare senza alleati. Una previsione smentita dai fatti.
Kurti ha accusato apertamente le opposizioni di aver danneggiato l’immagine internazionale del Kosovo, di aver alimentato le tensioni con la minoranza serba – soprattutto nel nord – e di non aver migliorato le condizioni di vita dei cittadini. Accuse che non hanno però scalfito il fronte avverso, compatto nel rifiutare un’alleanza.
Dieci mesi di paralisi e conti bloccati
Lo stallo politico ha già avuto conseguenze concrete. La legge di bilancio per il 2026 non è stata approvata e numerosi provvedimenti su economia e giustizia sono rimasti congelati. Una situazione che ha pesato sulla credibilità del Paese e sui rapporti con i partner internazionali.
Gli Stati Uniti, secondo fonti diplomatiche riportate da agenzie internazionali a novembre 2025, hanno sospeso il dialogo strategico con Pristina. L’Unione europea, già critica verso l’esecutivo Kurti, ha bloccato oltre 800 milioni di euro di fondi, tuttora congelati.
Il gelo con Bruxelles e Belgrado
A pagare il prezzo più alto è stato anche il dialogo sulla normalizzazione dei rapporti con la Serbia, mediato dall’UE. Dal settembre 2023 non si tengono incontri ad alto livello tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e Kurti. I colloqui tecnici sono proseguiti, ma senza risultati significativi.
Belgrado accusa apertamente Kurti di perseguire una linea nazionalista e antiserba. In dichiarazioni rilasciate ai media serbi nel dicembre 2025, esponenti del governo parlano addirittura di “una strategia di pressione sistematica contro la comunità serba del Kosovo”.
Critiche anche dagli alleati storici
Non è solo la Serbia a puntare il dito. Anche Usa e Unione europea, tradizionali sostenitori di Pristina, rimproverano a Kurti una linea intransigente, poco incline al compromesso e dannosa per la stabilità regionale. Un giudizio che pesa, soprattutto ora che il Kosovo rischia una nuova fase di isolamento.
Scenari aperti e rischio déjà-vu
Il voto non ha sciolto il nodo centrale: chi governerà il Kosovo. Le opzioni restano limitate, le distanze politiche profonde. Senza un accordo, il Paese potrebbe trovarsi di nuovo davanti allo stesso scenario vissuto negli ultimi dieci mesi.
Kurti ha vinto, ancora una volta. Ma il Kosovo, ancora una volta, resta sospeso. E il tempo, tra fondi congelati e tensioni regionali, non gioca a favore di nessuno.