Israele: quella scatenata da Hamas in Israele è una guerra per procura

- di: Romolo Martelloni
 
Nelle ore in cui il mondo si divide tra chi mostra il suo orrore per quanto i miliziani di Hamas hanno fatto, usando modalità di terrorismo in quella che, per loro ambizione, dovrebbe essere una guerra, e chi plaude ad una azione che indebolisce Israele come potenza militare regionale, gli interrogativi sulle radici di quanto sta accadendo si pongono con la drammatica esigenza di capire.
Lasciando agli analisti - veri, presunti, autoreferenziali o abborracciati che siano: in televisione la possibilità di mettere in fila due/tre concetti ormai non si nega più a nessuno - l'incombenza di esaminare quanto sta accadendo, resta agli altri il compito di guardare agli eventi di oggi con un orizzonte più lungo e ampio.

Israele: quella scatenata da Hamas in Israele è una guerra per procura

Perché la guerra di Hamas a Israele - che da 75 anni è un baluardo della democrazia, anche se i suoi governanti hanno troppo spesso esercitato il diritto all'esistenza come quello di emarginare la minoranza araba - è solo un capitolo di una questione molta più complessa che non può prescindere da un dato di fatto inequivocabile: qualsiasi azione militare contro Gerusalemme non potrà mai portare ad una soluzione definitiva.
Ovvero la sua cancellazione come Paese, che è l'obiettivo, dichiarato o meno, di molti suoi vicini.
Perché Israele non è importante solo militarmente, dal momento che è la sentinella in armi dell'Occidente davanti al ribollente calderone del fondamentalismo, sia sciita che sunnita. Ma soprattutto è importante politicamente, trattandosi dell'unica democrazia vera della regione (se togliamo il Libano dilaniato dalle lotte confessionali). Quindi una sua sconfitta, seppure parziale, sarebbe quella di un sistema perseguito dall'Occidente e che si cerca sempre di proporre anche là dove la stratificazione culturale di secoli è d'ostacolo alla vera democrazia.

Oggi però parliamo di una guerra per certi versi anomala, perché non sarebbe potuta essere scatenata senza il concorso di fattori che solo apparentemente sono esterni. Come conferma il profilo di Hamas e i suoi legami con le monarchie petrolifere sunnite che, da un paio di decenni, portano avanti una massiccia opera di finanziamento del fondamentalismo e, quindi, il tentativo di fidelizzare Paesi che, con un tessuto economico fragilissimo, hanno dovuto accogliere predicatori radicali pur di ottenere finanziamenti e prestiti.
Che, alla faccia della fratellanza tra musulmani, non sono mai a costo zero, impaniando i Paesi nella ragnatela dei debiti inestinguibili.

La questione palestinese non è solo, quindi, una faccenda tra chi spara da un lato e chi risponde dall'altro, né di chi sia più crudele nei suoi comportanti.
Il problema è che, al netto di chi, anche in Italia, fa ricorso al solito escamotage lessicale ''sì, però...'' , in Israele si gioca, da decenni, una partita che coinvolge tutti. Anche noi italiani. Sarebbe quindi drammaticamente riduttivo pensare (e magari anche gioire per questo) che Hamas abbia messo sotto scacco Israele, per il semplice motivo che da solo il movimento non avrebbe la necessaria forza economica e militare e quindi deve avere l'appoggio di chi ha tutto l'interesse a scatenare una guerra per indebolire il nemico ''sionista''.

Come l'Iran che è sempre alla ricerca di un nemico contro cui puntare il dito, magari per allentare l'attenzione sui suoi problemi interni, che non sono solo quelli del dissenso di gran parte della popolazione, ma anche economici.
Una guerra, quella in atto in Israele, che deve essere considerata ibrida se è vero che uno dei suoi obiettivi manifesti è stato quello di fare degli ostaggi civili, per servirsene come scudi umani nel chiaro tentativo di abbassare la soglia dell'attacco di terra che Israele deve necessariamente scatenare per mettere in sicurezza il territorio, il suo e quello controllato da Hamas.
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