Israele vincerà, Israele ha già perso

- di: Romolo Martelloni
 
Mentre i carrarmati Merkavà ringhiano alla frontiera con la Striscia, prima di essere lanciati oltre confine per l'offensiva di terra contro i santuari di Hamas, il futuro di Israele, in guerra e nella pace che ne seguirà, sembra essere già segnato. Perché, anche se può apparire surreale, alla scontata vittoria sul campo ben difficilmente seguirà un periodo di tranquillità per Gerusalemme che ha cominciato a perdere, politicamente parlando, nell'istante stesso in cui i primi miliziani di Hamas hanno attraversato, con ogni mezzo, il confine permeabile tra i due territori, segnando la sconfitta del principio, cullato per decenni, dell'invincibilità militare di Israele.

Israele vincerà, Israele ha già perso

Dalle prime fasi della nakba (nel 1948, l'esodo dei palestinesi) alla ''guerra dei sei giorni'' e quella dello Yom Kippur, Israele ha sempre reagito e vinto, contro tutti e tutto. Ma questa volta è diverso, perché l'operazione di Hamas - non certo improvvisata e che, quindi, si è fatta beffa della tanto celebrata efficienza del Mossad - ha mostrato la debolezza di uno Stato che può reprimere, e quindi vincere, ma non è più in grado di prevenire.
E se lo ha potuto fare Hamas - che ha una struttura paramilitare, non certo equiparabile ad un esercito organico - lo possono fare anche altri, che hanno ben altri strumenti per abbattere il ''cancro sionista''.
Israele aggredito, sfregiato, umiliato non può accettare di essere tale o, peggio, di essere considerato tale e la sua risposta è e sarà proporzionale al pericolo che percepirà per la sua stessa esistenza. Ma questo non cancella l'impressione che, anche se vincerà sul campo, e probabilmente infliggerà un colpo mortale ad Hamas, Israele uscirà da questa guerra ridimensionato, perdendo l'aura da vincitore designato che lo ha sempre accompagnato, anche grazie alla disorganizzazione che, sino a ieri, contraddistingueva i suoi avversari.


Ma tagliare la testa del serpente Hamas servirà a poco, perché domani il Paese dovrà fare i conti con sé stesso. Concedendo ad un leader controverso e divisivo come Benjamin Netanyahu di governare per quindici anni, sulla base dell'assioma di allearsi anche con il diavolo, se questo gli avrebbe consentito di restare al potere, ha significato che il Paese non ha saputo elaborare una alternativa credibile che lo portasse, o tentasse di farlo, verso un periodo se non proprio di pace, almeno di equilibrio, forse anche instabile, ma certo non di continuo e immanente pericolo per i suoi cittadini.
La scelta che Netanyahu ha fatto, cedendo ai partiti di estrema destra, fautori di un massiccio piano di insediamenti di coloni nei territori palestinese, ha acceso la miccia dell'implosione. Lunga o corta che fosse, nella sua testa, alla fine la miccia si è consumata ed è scoppiato il conflitto.

Oggi Israele, con solo una sacca che si riduce sempre di più di sostenitori acritici del premier, si rende conto che la sconfitta politica è responsabilità di Netanyahu, perché ora il Paese è costretto ad agire contro la popolazione civile (che Hamas usa come scudo, questo è scontato), mettendosi quindi, agli occhi della comunità internazionale, alla sbarra da imputato e non solo da vittima. E questo era probabilmente parte del disegno di Hamas, disposto a sacrificare centinaia di vite dei suoi miliziani e migliaia di esistenze di civili per dire al mondo: ecco, questo è il vero volto di Israele. nascondendo, sotto la cenere dell'ipocrisia, il ricordo delle vittime dell'attacco e gli ostaggi.
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