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Fuoco sull’Himalaya: l’India colpisce, il Pakistan promette vendetta

- di: Bruno Coletta
 
Fuoco sull’Himalaya: l’India colpisce, il Pakistan promette vendetta

Raid missilistici indiani contro presunti obiettivi terroristici in Pakistan. Islamabad grida all’”atto di guerra”. Il mondo trattiene il fiato davanti a due potenze nucleari sull’orlo del baratro.

(Foto: esercito indiano)

Nell’oscurità della notte tra il 6 e il 7 maggio, l’India ha lanciato l’”Operazione Sindoor”, un attacco missilistico ad alta precisione contro nove obiettivi localizzati in territorio pakistano. Il ministero della Difesa di Nuova Delhi parla di “strutture terroristiche” utilizzate come basi operative da gruppi militanti responsabili dell’attentato del 22 aprile a Pahalgam, in Kashmir, in cui hanno perso la vita 26 turisti indiani. Il Pakistan, però, ha una versione radicalmente opposta: i missili indiani, sostiene, avrebbero colpito aree civili, uccidendo almeno otto persone, tra cui un bambino, e ferendone decine.

Un attacco chirurgico o un’escalation deliberata?
“Giustizia è fatta”, ha dichiarato l’esercito indiano in un video postato su X all’alba di oggi 7 maggio, sottolineando che si è trattato di un’azione “mirata, misurata, senza l’intento di colpire strutture militari né di provocare un’escalation”. Eppure, a Islamabad la narrativa è opposta. Il primo ministro Shehbaz Sharif ha parlato senza giri di parole: “Ci hanno colpiti in modo vigliacco. È un atto di guerra. Risponderemo nel momento e nel modo che riterremo più opportuni”, ha scritto sul suo profilo ufficiale, aggiungendo che “l’intera nazione è con le nostre forze armate”.
Secondo fonti pakistane citate da Al Jazeera e Dawn News, uno dei raid ha colpito una scuola nei pressi di Muzaffarabad, un altro una moschea nella provincia del Punjab. Il bilancio ufficiale fornito dal governo pachistano parla di 8 morti e almeno 35 feriti. Ma le autorità locali temono che il numero delle vittime possa salire nelle prossime ore.

La linea di controllo è tornata a sanguinare

Nel frattempo, la Linea di Controllo (LoC), il confine de facto che separa le aree del Kashmir controllate da India e Pakistan, è di nuovo teatro di intensi scambi di artiglieria. Due donne indiane sono rimaste ferite in un villaggio della regione di Poonch, mentre il comando militare di Islamabad sostiene che tre civili siano stati uccisi nella valle di Neelum da colpi sparati dalle forze indiane.
Scene già viste, ma che assumono un sapore diverso in un contesto così esplosivo. L’ultimo scontro militare diretto tra i due Paesi risale al 2019, dopo l’attentato di Pulwama, ma ora i rischi di un’escalation sembrano ben più alti.

Attentato di Pahalgam, la miccia che ha acceso la polveriera

A far deflagrare la crisi è stato l’attacco del 22 aprile scorso nella località turistica di Pahalgam, nel Kashmir indiano, dove 26 cittadini sono stati uccisi da un’autobomba rivendicata dal gruppo “The Resistance Front”, che l’intelligence indiana ritiene una filiazione del Lashkar-e-Taiba, organizzazione terroristica con legami storici con i servizi pakistani. “Non potevamo restare immobili”, ha dichiarato ieri il ministro dell’Interno indiano Amit Shah. “Abbiamo agito in base a informazioni certe. La nostra pazienza non è debolezza, ma determinazione a difendere ogni cittadino”.
Il Pakistan ha respinto ogni accusa di complicità, bollando le dichiarazioni di Nuova Delhi come “propaganda bellica per fini elettorali”.

Washington e Pechino chiedono di fermarsi
Dalla comunità internazionale è arrivato un coro unanime di preoccupazione. Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha chiesto a entrambe le parti di “disinnescare immediatamente la tensione”. In una nota diffusa dalla Casa Bianca si legge che “gli Stati Uniti stanno lavorando con gli alleati regionali per evitare una guerra che nessuno vuole”.
La Cina, alleato strategico del Pakistan ma anche primo partner commerciale dell’India, ha espresso “rammarico” per l’azione militare indiana, e ha definito “insostenibile” una nuova escalation in Asia meridionale. “India e Pakistan sono vicini che non possono essere separati, e sono anche i nostri vicini”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin in un briefing a Pechino. “Invitiamo alla moderazione e al ritorno urgente al dialogo”.

Le incognite del dopo: cosa accadrà ora?
Dietro l’Operazione Sindoor si intravede anche un calcolo politico interno: il governo nazionalista del premier Narendra Modi affronta settimane cruciali in vista del voto statale in Maharashtra, e il tema della sicurezza nazionale è diventato uno dei cardini della sua campagna. Modi, finora, ha evitato dichiarazioni pubbliche, ma secondo fonti della stampa indiana, avrebbe seguito le operazioni “in tempo reale” dalla sala di crisi del South Block.
Dall’altra parte, Shehbaz Sharif si gioca la sopravvivenza politica in un contesto dominato dai militari, che potrebbero spingere per una risposta più dura, soprattutto dopo le immagini diffuse dai media locali che mostrano bambini feriti nei raid indiani.

Una crisi dalle conseguenze globali
Non è solo una disputa bilaterale. L’Himalaya torna a essere l’epicentro di una crisi che minaccia gli equilibri geopolitici dell’intera regione indo-pacifica. Con due potenze nucleari sul piede di guerra, la soglia del disastro è più vicina che mai.
Il mondo osserva con crescente apprensione, e l’Onu ha convocato per giovedì 8 maggio una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza a porte chiuse. “Ogni passo falso può essere fatale”, ha dichiarato il segretario generale António Guterres. “La responsabilità storica di evitare una guerra nucleare è ora nelle mani di due governi che devono scegliere tra vendetta e sopravvivenza”.


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