Inchiesta Bergamo: il braccio lento della Giustizia

- di: Redazione
 
4.148: un numero della purtroppo sterminata contabilità del Covid-19. È quello dei morti e delle morti che si sarebbero potuti evitare se, nei primi giorni di tre anni fa, fosse stata firmata l'ordinanza per istituire una ''zona rossa'' in Val Seriana, cioè decidendo di sigillare una porzione di territorio (i Comuni di Alzano Bergamasco e Nembro) potenzialmente pericolosissimo moltiplicatore di letali contagi, come si sarebbe poi confermata.

Inchiesta Bergamo: il braccio lento della Giustizia

Ora la procura di Bergamo ha concluso la prima parte della sua inchiesta su questa vicenda che rischia di essere devastante non solo per le persone oggi inquisite, ma per i congiunti delle vittime che potevano essere salvate, anche se resta difficile capire quali siano stati parametri per calcolarne il numero, dal momento che molti di quei decessi restano ancora oggi di difficile qualificazione clinica (tra morti ''per'' e morti ''con'' Covid'' c'è un mondo in mezzo).
Ma se i magistrati della procura hanno quantificato il ''danno ulteriore'' in 4.148 avranno certo i loro motivi, che saranno chiariti con il tempo.

Appare abbastanza evidente che le argomentazioni dei magistrati inquirenti si basano su un assunto: premier, ministro e tecnici, pur avendo chiaro il quadro sanitario, non intervennero tempestivamente. Ed è sulle ragioni di quella decisione che la procura sta lavorando. Da quello che trapela dell'inchiesta, il profilo dei comportamenti attribuiti a Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, e a Roberto Speranza, ministro della Salute, è diverso, con il primo sostanzialmente accusato di non avere dichiarato la ''zona rossa'' - quindi con una responsabilità diretta, per una ''non decisione'' - e il secondo a rispondere del fatto che il Paese non avesse un piano epidemico.
Posizioni oggettivamente diverse, con quella di Conte più complessa, poiché, per quel che si desume, gli viene contestato una mancata decisione pur essendo in possesso di informazioni che andavano decisamente nella direzione contraria, cioè istituire ad Alzano e Nembro una ''zona rossa'', come quella già in atto in altri undici Comuni del Lodigiano (10) e del Padovano (Vo' Euganeo).
A rendere complessa la situazione - che si sarebbe potuta attribuire ad una diversa valutazione dei medesimi dati - è stata la scoperta, nel gennaio del 2021, nel corso di una perquisizione, di una bozza di decreto di istituzione della zona confinata. Bozza che portava in calce la firma di Speranza, ma non quella di Conte.

Insomma, il ministro era stato convinto dalle argomentazioni del Comitato tecnico scientifico; Conte, no.
Indagini, come si vede, non semplici, forse addirittura difficilissime perché non si tratta di elaborare delle tesi sulla scorta di numeri e percentuali, ma sulla percezione del pericolo, imminente, reale o forse sovradimensionato.
Qualcuno parla di giustizia ad orologeria, ma qui, di ore e lancette, c'è poco perché davanti alle dimensioni del dramma la procura d Bergamo, come forse avrebbero dovuto fare anche altre, ha deciso di vederci chiaro, in questo incalzata anche dai congiunti delle vittime, convinti che non era stato fatto il necessario per arginare i contagi.
Ipotesi tutta da verificare e che ha avuto dalla procura una prima risposta.
Sottolineiamo prima, perché solo all'esito di tutti gli accertamenti la procura potrà capire contro chi proseguire la sua azione e nei confronti di chi ritenere le circostanze non incriminanti. Questo ad oggi.
Ma forse è necessario ragionare su altro, perché, se le polemiche che hanno incendiato l'Italia nel momento peggiore della pandemia sembrano essere state ravvivate dalle notizie che arrivano da Bergamo, resta sempre il dubbio sui motivi per i quali la giustizia italiana sembra essere perennemente in ritardo sui fatti e su cosa essi implichino da un punto di vista giudiziario. La centinaia di morti che sono alla base dell'inchiesta purtroppo vivono solo nel ricordo dei loro familiari, mentre la cronaca corre veloce occupandosi di altre vicende e dimenticando troppo in fretta. Quindi appare abbastanza giustificato chiedersi come mai, a oltre due anni dalla scoperta della bozza di decreto, solo ora siano arrivate le notizie dello stato dell'indagine. Non vogliamo imputare a qualcuno questo apparente ritardo, ma la realtà dei fatti è questa.

Siamo comunque in buona compagnia, perché anche in altri Paesi (in queste ore tocca alla Gran Bretagna, sempre per le motivazioni alla base delle scelte del governo per contrastare la pandemia) ci si sta interrogando se le decisioni prese contro il Covid-19 siano state non le migliori o, comunque, necessarie. In tutta sincerità - pur non essendo, confessiamolo, dei convinti sostenitori di Giuseppe Conte - non pensiamo che l'ex premier debba essere messo davanti ad un plotone d'esecuzione per una decisione non presa, perché se veramente fosse stato convinto della necessità di adottarla l'avrebbe fatto. II pericolo in agguato, quando vengono rese note indagini come questa, è che nel giudizio generale a prevalere non sono dati oggettivi, ma il sentimento del momento, quello che vede nella politica un avversario, da combattere, sconfiggere e umiliare.
Davanti all'ipotetica domanda del magistrato sulla mancata istituzione della ''zona rossa'', Conte potrebbe rispondere tranquillamente che i dati fornitigli non lo convinsero, come invece accaduto a Speranza.
E allora? Dato per scontato che siamo davanti ad un ipotesi colposa, chi sarebbe convintodi una responsabilità penalmente rilevante?
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