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Governo: dove è finito il senso dello Stato?

- di: Diego Minuti
 
Governo: dove è finito il senso dello Stato?
Il quotidiano profluvio di notizie e indiscrezioni sulle difficoltà che, lungo la strada per la composizione del futuro governo, sta patendo Giorgia Meloni (che, pur non ancora da premier incaricato, sta pagando il peso della responsabilità), sono l'immagine plastica del degrado della politica di casa nostra, che sembra non rendersi conto della drammaticità della situazione del Paese.
Per il quale - lo dice il Fondo monetario internazionale, non qualche economista nostrano - il 2023 potrebbe essere quello della recessione, con tutto ciò che consegue e di cui forse non sembrano volersene fare carico quelli che stanno brigando per avere una poltrona o anche un strapuntino in più davanti al grande tavolo della spartizione del potere.

Continuano le difficoltà per Giorgia Meloni nel formare un nuovo governo

Le idee e il background ideologico di Giorgia Meloni sono quelli che sono e devono essere rispettati sino a quando si muovono nei paletti invalicabili della Costituzione. Ma di certo non si può negare che il presidente di Fratelli d'Italia è impegnata in una strenua difesa dei suoi principi, il primo dei quali è il rispetto di quel che ha detto in campagna elettorale e dopo, a urne chiuse, da vincitrice delle elezioni.

Oggi Meloni si trova a confrontarsi con due alleati riottosi, che, prima che al Governo, guardano ai loro interessi, che sembrano non coincidere con quelli del Paese. Per un motivo che forse, a Lega e Forza Italia (ma sarebbe più corretto a quelle parti di Lega e Forza Italia che si stanno incistando, nella trattativa, come elementi di contrasto a Meloni), sfugge: per affrontare l'emergenza - perché è di questo che stiamo parlando - occorre che il nuovo governo sia, innanzitutto, di alto profilo e poi, particolare importante, che di esso facciano parte ministri di totale fiducia del primo ministro.

Sempre che tutto quello di cui si parla e sparla in queste ore, sui media e nei corridoi, sia vero, non è che la scelta per Giorgia Meloni sia facile, anche in casa sua, dove il poco tempo passato da quando era un ''partitino'' a quel che è oggi, col 26 per cento e anche di più, non le ha consentito di fare crescere una classe dirigente meno zavorrata a nomi del passato, certo importanti, ma non al punto di farne figure di riconosciuta autorevolezza anche al di fuori di Fratelli d'Italia. Ma, essendo lei da dare le carte, a Giorgia Meloni e solo a lei spetta il compito di fare delle scelte, che possono essere anche laceranti, se dovrà opporre un diniego a chi, suo compagno di strada, non dovesse ritenere ''spendibile'' come ministro.

E se di problemi può/potrebbe averne in casa sua, Meloni ne ha sicuramente altri da parte di coloro che, grazie alla legge elettorale, in qualche modo hanno beneficiato dell'alleanza con Fratelli d'Italia e ora alzano la posta rivendicando un peso in numeri parlamentari che non avrebbero se fossero andati da soli.
Forza Italia e Lega sono tra i partiti che hanno perso - basta guardare il confronto con recenti elezioni - eppure rivendicano un ruolo trainante della coalizione, dimenticando che, anche fondendosi in un unico partito, resterebbero ben distanti da Fratelli d'Italia. Eppure insistono, brigano, cercano di conquistare posizioni sapendo che, numeri del Senato alla mano, possono farlo. Che poi questo indebolisca, già prima che nasca, il futuro governo a loro sembra poco importare. Perché tutti i ministeri sono importanti, ma ce ne sono alcuni che lo sono di più e che devono essere nelle mani di chi sa, conosce e può decidere per esperienza e preparazione. E non basta gridare forte o essere nel cuore del ''capo''. Ognuno di noi sopravvaluta sé stesso, ma alla fine, se ha un briciolo di avvedutezza, si ferma nell'autocelebrazione. Ma questa è una lezione che non tutti hanno appreso.
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