Il boom dell’ansia tra i giovani: cosa succede al cervello della Gen Z
- di: Bruno Legni

Smartphone, scuola e futuro incerto: perché i nati dopo il 1995 vivono un’epidemia silenziosa di ansia e stress.
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L’esplosione invisibile dell’ansia: è la salute mentale la vera emergenza?
L’immagine più fedele della Generazione Z oggi non è un selfie filtrato su Instagram, ma il volto teso di uno studente in crisi davanti a un compito in classe, o quello insonne di una ventenne con lo smartphone acceso fino alle 3 del mattino. Ansia, attacchi di panico, disturbi dell’umore non sono più l’eccezione: sono diventati lo sfondo quotidiano.
In Italia, secondo l’ultima indagine del Censis pubblicata nel febbraio 2025, oltre un giovane su tre sotto i 25 anni ha manifestato nell’ultimo anno sintomi ansiosi o depressivi significativi, con picchi preoccupanti tra i 17 e i 21 anni. A livello globale, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha parlato di “emergenza silenziosa”, sottolineando che i disturbi mentali rappresentano ormai la prima causa di disabilità tra gli under 25 nei paesi industrializzati.
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“Mi sento sempre sotto pressione”: lo tsunami emotivo della Gen Z
Parlare con i ragazzi è come ascoltare una valanga che rotola in silenzio. Marta, 19 anni, liceale a Roma, racconta: “Mi sveglio con il cuore in gola anche nei giorni in cui non ho verifiche. Ho paura di non farcela, di non essere abbastanza”.
Il suo caso è tutt’altro che isolato. Un’indagine condotta dalla community Maturansia nel maggio 2024 su un campione di 22mila maturandi ha rivelato che il 92,6% degli studenti si dichiara “preoccupato o molto preoccupato” per l’esame di Stato, e oltre uno su tre ha già avuto attacchi di panico.
Questa angoscia non si spegne con la scuola. Appena fuori, li attendono un mercato del lavoro instabile, salari bassi e uno storytelling mediatico fatto di guerre, crisi climatica e intelligenze artificiali che “rubano il futuro”. Un mix devastante.
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Lo smartphone come gabbia mentale: quando il dito scorre, ma il cervello frana
Jonathan Haidt, psicologo sociale americano e autore del bestseller The Anxious Generation, è stato netto: “Stiamo assistendo a una crisi della salute mentale causata dalla crescita in un ecosistema digitale tossico. Non è un’iperbole, è un dato di fatto”.
Nel suo libro, pubblicato anche in Italia da Einaudi nel 2024 con il titolo La generazione ansiosa, Haidt dimostra con ricerche su migliaia di studenti che l’uso precoce e massivo dello smartphone — soprattutto tra i 10 e i 14 anni — è correlato a picchi di ansia, depressione, autolesionismo e crollo dell’autostima. Il bersaglio principale? Le ragazze, più vulnerabili ai confronti sociali e alle dinamiche tossiche di Instagram e TikTok.
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Una scuola che chiede, ma non ascolta
La scuola italiana, dal canto suo, continua a presentarsi come un luogo che misura, valuta e pretende, ma raramente accompagna. “Le interrogazioni a sorpresa, le prove INVALSI, il mito della performance: tutto è costruito per alimentare l’ansia”, denuncia la professoressa Roberta Bernardi, docente e formatrice.
Uno studio della Fondazione Agnelli pubblicato nel dicembre 2024 mostra che il 41% degli studenti italiani ha “una percezione negativa o gravemente negativa del proprio benessere scolastico”, e solo il 17% sente che a scuola si parli apertamente di disagio emotivo.
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Lavorare, ma a che prezzo?
Chi entra nel mondo del lavoro non trova tregua. Secondo l’Osservatorio BVA-Doxa Mindwork, il 45% dei giovani lavoratori della Gen Z soffre di stress cronico e oltre un terzo sperimenta ansia legata all’ambiente professionale. I motivi? Mancanza di stabilità, paura del fallimento, precarietà economica e mancanza di riconoscimento.
“Ci chiedono flessibilità, ma ci offrono incertezza”, commenta Francesco, 23 anni, neolaureato che lavora in un’agenzia marketing. “Ho un contratto di tre mesi, e ogni sera vado a letto col dubbio: mi rinnoveranno o no?”.
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Non solo social: la società della prestazione e del confronto
Sarebbe riduttivo imputare tutto ai social media. Il disagio nasce da un clima culturale ipercompetitivo in cui anche il tempo libero diventa prestazione. “Hai fatto yoga? Hai letto l’ultimo libro? Sei stato a Berlino? Non puoi permetterti di rallentare”, scrive la giornalista Marta Capponi in un’inchiesta per Cosmopolitan Italia.
In questo contesto, i social sono solo lo specchio deformante: mostrano il meglio degli altri, mentre ci amplificano il peggio di noi stessi.
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Psicologi più vicini, ma ancora non abbastanza
Una buona notizia c’è. La Generazione Z, a differenza dei Millennial, non considera più lo psicologo un tabù. Il 54% di loro ci è già stato almeno una volta, secondo un sondaggio Ipsos per Rai Play Sound.
Ma le risorse pubbliche sono poche. In Italia, la figura dello psicologo scolastico è ancora assente in gran parte degli istituti, e il bonus psicologo 2024 è stato rifinanziato solo parzialmente.
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Serve una nuova alleanza educativa
“Il benessere mentale non può più essere delegato alla sola famiglia o al singolo terapeuta. Serve una rivoluzione culturale”, afferma la psicologa Francesca Bellati. “Bisogna educare i ragazzi al digitale come si educa al sesso, al cibo, al rispetto. Serve un patto educativo tra scuola, famiglia e istituzioni”.
Secondo l’esperta, le tecnologie non vanno demonizzate, ma integrate con consapevolezza. “Un adolescente non ha bisogno di essere disconnesso. Ha bisogno di essere visto”.
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La vera forza è parlare
Il boom dell’ansia tra i giovanissimi è un campanello d’allarme sociale. Non si tratta solo di salute mentale, ma di futuro. Dietro ogni attacco di panico c’è una domanda inascoltata, dietro ogni sintomo un bisogno non riconosciuto.
La Generazione Z non chiede meno pressione. Chiede più verità, più ascolto e più strumenti per costruirsi un’identità in un mondo che cambia ogni giorno. La sfida, per noi adulti, è non restare indifferenti.