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Gaza, l’Italia che chiede pace. Israele risponde: “Parlate con Hamas”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Gaza, l’Italia che chiede pace. Israele risponde: “Parlate con Hamas”

Venticinque Paesi, tra cui l’Italia, sottoscrivono un appello per la fine immediata della guerra a Gaza. È un gesto politico e simbolico. Un atto dovuto, forse. Ma la guerra non si ferma. Le parole restano confinate nelle dichiarazioni, mentre sul campo si muore ancora. L’appello condanna le “orribili uccisioni di civili”, denuncia l’accesso agli aiuti ridotto al minimo, invoca la cessazione “immediata e definitiva” delle ostilità. Ma arriva tardi. E arriva senza la forza di un fronte unito. Israele replica in modo netto: “Lo chiedano ad Hamas”.

Gaza, l’Italia che chiede pace. Israele risponde: “Parlate con Hamas”

La distanza tra chi scrive e chi spara è diventata incolmabile. La diplomazia si agita, ma i raid proseguono, i tunnel continuano a esplodere, le scuole si trasformano in obitori. Gli aiuti entrano col contagocce, come fosse normale che la fame sia gestita a rate. Nessun equilibrio, nessuna tregua. Solo la stanchezza del mondo che guarda.

Il presidente Leone parla con Abu Mazen
In questo clima, arriva la notizia della telefonata tra il presidente della Repubblica, Leone, e Abu Mazen. Una conversazione che non è solo di rito. È un gesto netto, di attenzione e solidarietà, che cerca di non lasciare sola l’Autorità Nazionale Palestinese in un momento in cui la sua voce rischia di essere inghiottita dal rumore delle armi. È anche un modo per dire che l’Italia guarda, ascolta, riconosce. Che non tutto può essere demandato ai droni o ai tavoli tecnici.

Nel frattempo, Trump, presidente degli Stati Uniti, commenta con tono duro l’attacco a una chiesa cattolica: “Sono stato colto di sorpresa. È un attacco scioccante”. Le chiese ora diventano obiettivi. I luoghi sacri non sono più inviolabili. È l’ulteriore passaggio verso una guerra che diventa anche guerra di religione, guerra simbolica, guerra che non conosce più linee rosse.

Pizzaballa rompe il silenzio, e accusa
Il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, prende parola. “Quello che sta facendo Israele non è giustificabile. È un dovere morale dirlo”. Le sue parole sono pesanti, dirette, senza ambiguità. Nessuna retorica, nessun linguaggio cerchiato. È una condanna chiara, che arriva da una figura della Chiesa che vive in mezzo alla guerra, che conosce da vicino il dolore quotidiano, la devastazione, l’assenza di futuro.

In un tempo in cui anche la Chiesa fatica a parlare con voce distinta, Pizzaballa decide di non tacere. Di non voltarsi dall’altra parte. Il suo è un gesto che rompe un silenzio troppo comodo, troppo protetto.

Tajani: “Tutti gli attacchi cessino subito”

Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani interviene: “Tutti gli attacchi cessino immediatamente e definitivamente”. È una frase diplomatica, ma che si scontra con l’impotenza della diplomazia stessa. Perché nessuno dei protagonisti sembra voler cedere. Nessuno disarma. Nessuno si muove per primo. E intanto, sotto le bombe, i civili continuano a morire.

Hamas rivendica lo scontro frontale
La risposta di Hamas arriva dura: “Bene che 25 Paesi riconoscano finalmente il fascismo di Israele”. Nessuna apertura, nessuna tregua. Solo propaganda, sfida, radicalizzazione. Hamas cavalca l’indignazione internazionale per rafforzare la propria narrativa. Ma mentre usa le parole per guadagnare consenso, la popolazione di Gaza resta intrappolata, stritolata, usata.

L’Onu accusa Israele, la tensione cresce sul fronte libanese

Nel frattempo, anche l’Onu prende posizione: denuncia che Israele avrebbe colpito la “linea blu” presidiata da Unifil al confine con il Libano. Se l’attacco fosse confermato, il conflitto rischia di allargarsi a nord. Il fronte libanese è già una linea instabile, fragile. E una scintilla potrebbe bastare a farlo esplodere.

Diplomazia in affanno, Gaza in ginocchio

L’Italia ha firmato. Ha fatto bene. Ma resta il senso di impotenza. Di distanza. Di inutilità delle buone intenzioni quando tutto è già fuori controllo. A Gaza la guerra è diventata normalità. E ogni parola sembra stonare, fuori tempo, scollegata. La politica prova a parlare. Ma in fondo lo sa: la guerra non la ascolta.

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