Fisco: una riforma perfettibile, ma che almeno è stata fatta

- di: Redazione
 
L’accordo politico raggiunto ieri tra maggioranza e governo per riformare il fisco è importante, perché sembra il segnale di una considerazione nuova e diversa del rapporto Stato-cittadino.
Non è una riforma di quelle che potrebbero definirsi ''epocali'', ma in ogni caso avrà delle ricadute positive, ma non certo stravolgenti, per le tasche dei cittadini, che almeno si ritroveranno in tasca qualche euro in più al mese da spendere, alimentando l'economia del Paese.

Raggiunto l'accordo per la riforma sul fisco

Il punto saliente dell'accordo verte sull'abolizione dello scaglione del 41%, con la riduzione delle aliquote da cinque a quattro. Cercando di sintetizzare: fino a 15 mila euro l’aliquota sarà al 23%. Lo scaglione successivo (da 15 a 28 mila euro) scenderà di due punti dal 27 % di oggi. La fascia compresa tra i 28 e i 50 mila euro avrà un imponibile del 35% (oggi è del 38%). Oltre i 50 mila euro, la trattenuta sarà al 43%.
Dopo l'annuncio del raggiungimento dell'intesa tra i partiti della maggioranza, in molti organi ci informazione e associazioni di categoria hanno fatto delle simulazioni, che hanno dato una mappa delle oscillazioni di risparmio (ma ci sarà anche chi ci perde) per il cittadino contribuente.

Lasciando questo argomento ai tecnici, cerchiamo di guardare alla riforma da un punto di vista politico, cercando di definire le premesse e le conseguenze dell'accordo. La premesse sono scontate, vista la tassazione che, praticamente da decenni e decenni, si abbatte sull'italiano medio. E per medio intendiamo lo stipendiato o comunque quello a reddito fisso, come i pensionati. Insomma quelli che anche volendo non possono ''fregare'' il fisco. E' verso questi soggetti che uno Stato, attento alle esigenze ed alle condizioni dei suoi amministrati, dovrebbe indirizzare ogni suo sforzo.
Invece non è così e anche la nuova riforma non è che consentirà alla maggioranza degli italiani di pasteggiare a caviale e champagne.

Le tasse sono necessarie, lo sappiamo, ma forse la loro imposizione dovrebbe assumere un profilo più ''umano'' e non legato alle alchimie di un contabile. Bene, quindi, fa il governo a razionalizzare la pressione del fisco, ma di pari passo dovrebbe andare avanti una rivoluzione delle strutture dello Stato, passando per quella che viene definita semplificazione.
Però il tentativo del governo resta da apprezzare. Forse si poteva fare di più, o forse no. Qualcosa comunque si è mossa e questo è già un risultato che si aspettava da troppo tempo.
In ogni caso - e questo è un evento - la riforma trova insieme sul fronte delle critiche Confindustria e Sindacati.

La posizione di Confindustria - come sempre più spesso accade con la presidenza di Carlo Bonomi - non usa parole dolci o di circostanza. ''La sforbiciata alle aliquote Irpef" - dice Confindustria - "disperde risorse limitate a soli 8 miliardi, con effetti impercettibili sui redditi netti delle famiglie, soprattutto qualora il taglio fosse finanziato anche da una copiosa eliminazione delle agevolazioni. La soluzione raggiunta non dà certezze che tali benefici potranno essere mantenuti nelle annualità future, non dà alcuna risposta a poveri e incapienti, limita l'intervento sull'Irap alle persone fisiche senza migliorare la competitività delle imprese, non interviene in alcun modo a favore di giovani e donne che hanno più di altri pagato questa crisi''.

Quindi, una bocciatura senza nemmeno la possibilità dell'esame di riparazione.
Per Maurizio Landini, segretario della Cgil, gli 8 miliardi dovrebbero andare tutti ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Critiche anche dal segretario confederale della Cisl Giulio Romani, che contesta il metodo, dicendo ''no ad accordi già confezionati coi partiti che renderebbero solo consultivo il ruolo dei sindacati''.
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