Secondo un’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, circa 4 milioni di contribuenti potrebbero essere interessati dal ricalcolo degli acconti con le vecchie aliquote. Per la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, circa 4 milioni di contribuenti potrebbero essere interessati dal ricalcolo degli acconti con le vecchie aliquote.
Mentre il governo prosegue con l’attuazione della riforma fiscale voluta dall’esecutivo Meloni, una controversia legata al calcolo degli acconti Irpef sta sollevando polemiche. Lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati si troveranno a fare i conti con le vecchie aliquote a quattro scaglioni, anziché con le tre introdotte dalla riforma. Una situazione che la Cgil definisce «una clamorosa ingiustizia», mentre il Ministero dell’Economia parla di un «disallineamento temporaneo».
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Il ritorno delle vecchie aliquote
La riforma Irpef, entrata in vigore nel 2024, aveva semplificato il sistema fiscale riducendo le aliquote da quattro a tre: 23% per i redditi fino a 28.000 euro, 35% tra 28.000 e 50.000 euro, e 43% per i redditi superiori. Tuttavia, per il calcolo degli acconti relativi alla dichiarazione dei redditi 2025 e 2026, si tornerà alle aliquote precedenti, più elevate, con un quarto scaglione al 43% per i redditi oltre i 50.000 euro.
Questo significa che molti contribuenti si troveranno a dover versare un acconto più alto, che verrà poi rimborsato l’anno successivo. Una sorta di “prestito forzato” allo Stato, come lo ha definito la Cgil.
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Le reazioni: Cgil contro Ministero dell’Economia
Il sindacato ha duramente criticato la misura, definendola «un’ennesima vessazione». Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil: «Lo Stato sta facendo cassa con anticipi non dovuti. È inaccettabile che i contribuenti debbano finanziare l’erario in questo modo».
Il Ministero dell’Economia, guidato da Giancarlo Giorgetti, ha replicato spiegando che si tratta di un «disallineamento temporaneo e non strutturale». In una nota il Mef precisa: «Il problema riguarda principalmente i titolari di altri redditi, per i quali è più probabile che risulti dovuto l’acconto. Questi versamenti saranno recuperati in futuro».
Tuttavia, la Cgil sostiene che l’impatto sia più ampio. Monica Iviglia, presidente del Caaf Cgil, aggiunge: «Non si tratta solo di lavoratori dipendenti o autonomi. Anche chi è in credito fiscale vedrà ridursi il proprio rimborso a causa di questo meccanismo».
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Un esempio pratico
Per comprendere meglio la situazione, il Caf della Cgil ha fornito un esempio concreto. Un lavoratore dipendente con un reddito lordo di 41.360 euro nel 2024 avrebbe un’imposta lorda di 11.116 euro calcolata con le nuove aliquote. Dopo le detrazioni per lavoro dipendente (750 euro) e spese mediche (165 euro), l’imposta netta sarebbe di 10.201 euro. Considerando le ritenute già versate dal datore di lavoro (10.366 euro), il contribuente sarebbe in credito di 165 euro.
Tuttavia, applicando le vecchie aliquote per il calcolo dell’acconto, l’imposta lorda salirebbe a 11.376 euro, portando l’imposta netta a 10.461 euro. Di conseguenza, il credito si ridurrebbe a 70 euro, con un “debito temporaneo” di 95 euro che verrà rimborsato l’anno successivo.
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La posizione del governo
La norma contestata è contenuta nel primo decreto attuativo della riforma fiscale, il decreto 216 del 30 dicembre 2023. L’Agenzia delle Entrate, nelle istruzioni per la compilazione del modello 730 diffuse il 17 marzo, ha confermato che l’acconto dovrà essere calcolato sulla base delle aliquote 2023.
Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha difeso la misura, sostenendo che «quando la norma è stata scritta, il taglio dell’Irpef era considerato temporaneo». Tuttavia, la mancanza di una correzione immediata ha lasciato molti contribuenti in attesa di chiarimenti.
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Dichiarazioni di esperti fiscali e analisti
• Carlo Cottarelli, economista: «Il ritorno alle vecchie aliquote per il calcolo degli acconti è un chiaro segnale di difficoltà nella gestione della transizione fiscale. Il rischio è che si crei confusione tra i contribuenti e si minacci la credibilità della riforma».
• Elsa Fornero, ex ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali: «Questo disallineamento temporaneo rischia di penalizzare soprattutto i redditi medio-bassi, che sono già sotto pressione a causa dell’inflazione e della stagnazione economica»
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Dati statistici sull’impatto della misura
• Secondo un’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, circa 4 milioni di contribuenti potrebbero essere interessati dal ricalcolo degli acconti con le vecchie aliquote.
• L’aumento medio dell’acconto Irpef per i lavoratori dipendenti con redditi tra 30.000 e 50.000 euro è stimato in circa 200-300 euro.
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Confronto con altri Paesi europei
• In Francia, il sistema fiscale prevede un meccanismo di acconti basato sulle aliquote correnti, senza ritorni a quelle precedenti.
• In Germania, gli acconti sono calcolati in base alle previsioni di reddito per l’anno in corso, con aggiustamenti successivi in caso di discrepanze.
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Reazioni politiche e proposte alternative
• Carlo Calenda, leader di Azione: «Questa misura è l’ennesima dimostrazione dell’incapacità del governo di gestire una riforma fiscale strutturale. Serve un intervento immediato per correggere questa ingiustizia».
• Confcommercio: «Per le piccole imprese e gli autonomi, questo meccanismo rappresenta un ulteriore peso burocratico e finanziario. Chiediamo al governo di rivedere la norma».
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Possibili scenari futuri
• Se il disallineamento non verrà corretto, si potrebbe assistere a un aumento del contenzioso fiscale, con molti contribuenti che ricorreranno alle commissioni tributarie per contestare gli acconti.
• La misura potrebbe avere un impatto negativo sulla fiducia dei cittadini nel sistema fiscale, già minata da anni di complessità e inefficienze.
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Le implicazioni per i redditi bassi e medi
La controversia si inserisce in un contesto già delicato per i redditi più bassi. Come riportato da un’analisi del 23 gennaio 2025, i tagli al cuneo fiscale hanno portato alla perdita di circa 1.200 euro per molti lavoratori a basso reddito, con l’abolizione del cosiddetto “bonus Renzi”.
Inoltre, un’indagine del 25 novembre 2024 ha evidenziato come la riforma abbia aumentato l’aliquota effettiva per il ceto medio, arrivando in alcuni casi al 56%. Una situazione che rischia di acuire il malcontento tra i contribuenti.
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Focus sui pensionati
• Secondo un’analisi dell’INPS, circa 2 milioni di pensionati con redditi superiori a 28.000 euro vedranno aumentare il loro acconto Irpef.
• Molti di loro, già alle prese con il caro-vita, potrebbero trovarsi in difficoltà finanziarie a causa di questa misura.
Proposte della Cgil e di altri sindacati
Oltre alle critiche, i sindacati hanno avanzato proposte concrete. Ad esempio:
• La Cgil ha chiesto l’introduzione di un meccanismo di compensazione automatica per evitare che i contribuenti debbano anticipare somme non dovute.
• La Cisl ha proposto di sospendere l’applicazione della norma fino a quando non verrà trovata una soluzione definitiva.
Impatto sul mercato e sulla crescita economica
• Il rischio che questa misura riduca ulteriormente il potere d’acquisto delle famiglie, con ripercussioni negative sui consumi e sulla crescita economica.
• La possibilità che le imprese, già alle prese con costi energetici elevati, riducano gli investimenti a causa dell’aumento del carico fiscale sui dipendenti.
Cosa succederà ora?
Mentre il governo assicura che il disallineamento sarà corretto in futuro, la Cgil chiede un intervento immediato. «La norma va cambiata subito», ha insistito Ferrari. Intanto, i contribuenti si preparano a un anno fiscale complesso, tra acconti più alti e rimborsi posticipati.
Una cosa è certa: il dibattito sulla riforma Irpef è lontano dall’essere concluso, e le prossime settimane potrebbero portare nuove tensioni tra governo e sindacati.