Brexit: i "no" americani affondano i sogni di Boris Johnson

 
Sei mesi dopo l'uscita dall'Unione Europea, la Gran Bretagna si trova a dovere fare i conti con le moltissime speranze alimentate dalla Brexit e che si sono dimostrate, invece, solo dei sogni.
L'idea di Boris Johnson di ''globalizzare'' il Regno Unito come naturale conseguenza della Brexit è andata ad incagliarsi in una realtà ben diversa, perché tutti gli accordi di libero scambio che, dopo la fatidica data del primo febbraio, avrebbero dovuto consentire alla Gran Bretagna di aprirsi al commercio globale, sono rimasti inattuati, riportando bruscamente alla realtà i fautori della Brexit.

Appena pochi mesi fa, Johnson, alla vigilia dell'uscita ufficiale del Paese dall'Unione europea, suonava le trombe dell'orgoglio nazionale come testa di ponte verso il paradiso che per lui si si sarebbe concretizzato in una nuova ''golden age'' del commercio mondiale con Londra protagonista. Nella testa di chi, in Gran Bretagna, ha sempre avversato la Brexit, le parole pronunciate da Boris Johnson alla vigilia della data ufficiale della Brexit oggi suonano quasi irridenti: "Dopo decenni di letargo, siamo di nuovo promotori del libero scambio globale".

Quell'asserzione ora appare avventata oltre che pericolosamente intempestiva. Certo la contingenza internazionale non ha aiutato la Gran Bretagna targata Johnson, con una pandemia inattesa quanto devastante che ha azzerato il pacchetto di illusioni cresciute intorno alla Brexit. Un brusco ritorno alla realtà che vede situazioni critiche sia verso la tanto vituperata Unione europea che verso il resto del mondo, che doveva (questo il sogno) aprire ponti d'oro alle merci "made in UK". Non è stato affatto così e oggi la Gran Bretagna è ancora alla ricerca di un accordo con l'Ue (che assorbiva il 50 per cento degli scambi britannici), ma i negoziati languono, senza reali prospettive di soluzioni che possano giungere nel breve periodo.

E i tanto decantati accordi di libero scambio che dovevano fioccare sulla Gran Bretagna restano ancora capitoli non scritti nel grande libro dei sogni. E non è che questa cosa sia giunta inattesa per gli analisti che, quasi con perfidia, segnano il loro dissenso sulle speranze alimentate da Johnson e dalla pattuglia dei fautori della Brexit.“Per il governo, è una delusione; per gli esperti, questa non è una sorpresa”, è il tagliente commento di David Henig, specialista nel commercio internazionale all'interno del think tank European Center for International Political Economy.

E gli Stati Uniti, quelli di un Trump scatenato che, dopo il voto sulla Brexit, prometteva di aprire alla Gran Bretagna le braccia (commerciali) dell'America? Ad oggi, ancora nulla di concreto. Come confermato dalla deludente visita negli Stati Uniti del ministro britannico del Commercio internazionale, Liz Truss.

Il suo incontro con il suo omologo Robert Lighthizer, si è concluso con un nulla di fatto, con un malinconico ''ne riparleremo''. E la cosa angoscia Londra che puntava (e punta ancora) ad un forte accordo commerciale con gli Stati Uniti (che rappresentano il 15 per cento del commercio britannico) fidando un po' troppo sulle parole di Trump, maestro di promesse e di contestuali brusche frenate.

I negoziati Usa-Gb vanno avanti lentamente. Anzi con una lentezza esasperante, che cozza con le promesse di ''the Donald'' che aveva parlato di un accordo "massiccio". Ma i negoziati, iniziati a febbraio e di cui è in corso il terzo "round", non stanno andando avanti, soprattutto nel settore alimentare in cui le diverse politiche dei due Paesi costituiscono un ostacolo difficile da superare, anche perché Trump è già in campagna elettorale e non può certo permettersi una buccia di banana magari per un accordo fatto troppo in fretta e, quindi, inadeguato anche al modo di pensare dei suoi concittadini in materia di salvaguardia della salute pubblica.

Ma lo scacco politicamente più bruciante della visita del ministro Truss a Washington è stato il nulla di fatto in ordine alla richiesta di Londra di vedere revocate le sanzioni relative alle tensioni legate alla Airbus e Boeing. "Questo caso ha dimostrato che il Regno Unito non è stato in grado di ottenere il trattamento speciale" spiega l'analista David Henig, secondo il quale in trattative come queste gli Stati Uniti non vogliono concedere niente per niente.

"Donald Trump avrebbe gradito un accordo con il Regno Unito, ma vuole uscire vincitore - ha aggiunto Sam Lowe, del think tank Center for European Reform - "Di fronte allo juggernaut (una forza inarrestabile, ndr) americano, il Regno Unito si sta scoprendo come un peso piuma''.
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