Studio molto interessante della Fondazione Gi Group in partnership con Osservatorio Giovani Istituto Toniolo; in collaborazione con Fondazione Cariplo (programma ZeroNEET) e Fondazione Compagnia di San Paolo.
Quando la laurea della mamma diventa uno scudo contro l’inattività
Nel dibattito su giovani e lavoro in Italia c’è un fattore che emerge con forza: il titolo di studio della madre. Dove l’istruzione materna è più alta, diminuisce la probabilità che figli e figlie restino fuori da studio, occupazione e formazione. Non è un dettaglio sociologico: è un driver strutturale che intreccia capitale culturale, reti di supporto e aspettative educative.
Sull’argomento è uscito uno studio molto interessante - Dedalo 2025 - della Fondazione Gi Group in partnership con Osservatorio Giovani Istituto Toniolo; in collaborazione con Fondazione Cariplo (programma ZeroNEET) e Fondazione Compagnia di San Paolo.
Il gradiente educativo che sposta gli esiti
Il fenomeno rilevato dallo studio Dedalo 2025 segue un andamento chiaro: con madre con sola licenza elementare la quota di giovani inattivi è molto elevata; con licenza media cala sensibilmente; con diploma si riduce ancora; con laurea o titolo superiore tocca i valori più bassi. Il divario è netto soprattutto tra le figlie: dove la madre è laureata, la quota femminile in condizione di NEET si abbatte rispetto ai contesti con bassi livelli di istruzione materna. Anche tra i figli maschi la discesa è significativa, seppur meno drastica.
Rientranti, tempi della disoccupazione e ragioni familiari
Con madri diplomate o laureate cresce il peso dei rientranti, cioè giovani prossimi a uscire dallo stato di inattività, e si osserva una maggiore concentrazione di disoccupazione di breve durata. Al contrario, laddove il titolo materno è più basso, aumentano i casi di lungo periodo e la quota di NEET per ragioni familiari. Fra le figlie, il passaggio da una madre con licenza elementare a una madre laureata si associa a un calo marcato delle interruzioni per carichi domestici o cura.
Nord, Centro, Sud: perché il contesto conta
L’istruzione materna agisce come amplificatore di opportunità soprattutto nel Mezzogiorno e nelle Isole, dove i divari socio-economici sono più profondi. In questi territori, il salto tra basso e alto titolo di studio della madre comporta scarti di rischio molto ampi; al Nord la tendenza è la stessa ma con differenziali più contenuti. Ciò suggerisce politiche mirate per area, capaci di combinare sostegno educativo, servizi e ponte scuola-lavoro.
Cosa significa davvero “effetto madre”
Parlare di titolo di studio materno non è attribuire colpe individuali, ma individuare una leva pubblica. L’istruzione della madre tende a riflettere capitale culturale, linguaggi e aspettative che incalzano i percorsi dei figli. In molte famiglie una madre con più anni di scuola diventa cerniera tra orientamento, formazione e prime esperienze lavorative. Come recita una delle considerazioni più efficaci: “Non basta crescere i talenti: occorre farli camminare”.
Tre mosse operative per non perdere una generazione
- Investire sull’istruzione femminile: borse, percorsi STEM, upskilling e life-long learning per le madri come politica intergenerazionale.
- Unire classi e imprese: curricula orientati al lavoro, tirocini di qualità, tutoraggio e orientamento precoce che riducano il mismatch.
- Servizi dove servono: nidi, tempo pieno, trasporti e sostegno alla cura per abbattere i vincoli familiari che espellono soprattutto le giovani donne dai percorsi attivi.
Voci e segnali che fanno la differenza
Nel racconto pubblico del fenomeno è utile riportare messaggi chiari che emergono dallo studio: “L’Italia non può rassegnarsi a perdere i suoi ventenni”; “L’istruzione materna è uno scudo sociale, non un privilegio”. Formule semplici che aiutano la traduzione in policy e spostano l’attenzione dall’“emergenza giovani” alla progettazione di percorsi.
Dal dato all’azione
Se l’istruzione della madre è un predittore potente, allora la risposta non può limitarsi a monitorare indicatori: bisogna accendere ascensori educativi, rafforzare i ponti scuola-lavoro e sostenere i servizi di conciliazione là dove i divari sono più duri. Ridurre i NEET significa allargare le opportunità, cominciando da casa ma arrivando fino al territorio e all’impresa.