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Ecosistemi meno efficienti nell’assorbire azoto: lo studio che cambia la visione sul clima

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Ecosistemi meno efficienti nell’assorbire azoto: lo studio che cambia la visione sul clima

Le aree naturali, dalle foreste alle praterie, potrebbero non essere così efficaci come si pensava nell’assorbire azoto atmosferico e, di conseguenza, nel contrastare i cambiamenti climatici. Lo rivela un nuovo studio dell’Università Statale dell’Oregon pubblicato su Nature, che ridimensiona le precedenti stime sulla cosiddetta fissazione biologica dell’azoto, il processo attraverso cui alcuni batteri trasformano l’azoto atmosferico in forme assimilabili dalle piante. Fino ad oggi, si riteneva che questo meccanismo giocasse un ruolo decisivo nell’alimentare la crescita vegetale e quindi nella capacità degli ecosistemi naturali di catturare anidride carbonica (CO₂) dall’atmosfera. Ma i nuovi dati suggeriscono che tali ipotesi erano eccessivamente ottimistiche.

Ecosistemi meno efficienti nell’assorbire azoto: lo studio che cambia la visione sul clima

Le ricerche precedenti si basavano in gran parte su campionamenti localizzati in aree particolarmente ricche di batteri azotofissatori. Queste zone, sebbene rilevanti, non rappresentano l’intera varietà degli ecosistemi terrestri. Il nuovo studio ha adottato un approccio più ampio e rigoroso, includendo un maggior numero di habitat e tenendo conto della reale distribuzione di questi microrganismi. Il risultato è un quadro più sobrio: in media, la quantità di azoto biologicamente fissato nei sistemi naturali è molto più bassa del previsto. Di conseguenza, anche il potenziale di assorbimento del carbonio da parte delle piante in questi ambienti risulta ridimensionato.

L’agricoltura come nuovo protagonista

Parallelamente, si osserva che la fissazione dell’azoto continua invece ad aumentare nei sistemi agricoli, grazie alla coltivazione intensiva di leguminose come la soia e l’erba medica. Queste piante sono in grado di ospitare nel proprio apparato radicale i batteri azotofissatori, contribuendo così a fertilizzare naturalmente il terreno. La pratica offre un’alternativa più sostenibile all’uso dei fertilizzanti chimici, con un duplice vantaggio: ridurre la dipendenza da prodotti di sintesi e contribuire alla fertilità dei suoli. Tuttavia, l’eccesso di azoto derivante da queste colture può avere effetti collaterali gravi sull’ambiente, favorendo la proliferazione di alghe tossiche nei corsi d’acqua, alterando gli equilibri ecologici e contribuendo all’emissione di gas serra come il protossido di azoto.

Azoto, una risorsa da governare

Lo studio invita a un maggiore monitoraggio e controllo della fissazione biologica dell’azoto, non solo negli ambienti naturali ma anche in quelli agricoli. Gli autori sottolineano che un’errata gestione di questo processo può trasformare l’azoto da risorsa preziosa a minaccia ambientale, con ricadute sulla qualità dell’acqua, sulla salute dei suoli e sulla biodiversità. Si tratta dunque di trovare un equilibrio tra le esigenze della produzione agricola e la tutela degli ecosistemi, attraverso politiche attente e basate su dati scientifici aggiornati. Un messaggio che rafforza l’urgenza di investire in ricerca ecologica e agronomica, per affrontare in modo più efficace la crisi climatica e ambientale globale.

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