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Vivendi, l’opa fantasma che si sgonfia in Cassazione. Crollo in Borsa

- di: Vittorio Massi
 
Vivendi, l’opa fantasma che si sgonfia in Cassazione. Crollo in Borsa
Vivendi, l’opa fantasma che si sgonfia in cassazione
Il sogno di un maxi assegno per gli azionisti di minoranza svanisce dopo le indiscrezioni su una possibile svolta della Suprema Corte francese. Il titolo crolla a Parigi, mentre il gruppo Bolloré vede allontanarsi lo spettro di un’operazione da miliardi.
 
(Foto: Yannick Bolloré, presidente del consiglio di supervisione di Vivendi).

Per mesi i mercati avevano messo in conto un’opa obbligatoria su Vivendi, una sorta di “premio di consolazione” per gli azionisti di minoranza dopo la scissione del gruppo in quattro società quotate. Oggi, però, quel premio appare sempre più come un miraggio. A far deragliare le aspettative è un’indiscrezione pubblicata dal quotidiano francese Le Monde il 19 novembre 2025, secondo cui la Corte di cassazione sarebbe orientata a ribaltare la decisione della Corte d’appello di Parigi sulla vicenda del controllo di Vivendi da parte di Vincent Bolloré, alla luce del parere favorevole all’imprenditore espresso dall’Avvocatura generale francese.

La reazione è stata immediata: alla Borsa di Parigi il titolo Vivendi è precipitato, con un calo intraday fino a circa il 20%, per poi assestarsi su una perdita compresa tra il 12 e il 15%, riportandosi in area 2,4-2,5 euro per azione, ben al di sotto della fascia di 3,5-4 euro su cui gli investitori avevano immaginato potesse eventualmente collocarsi il prezzo di un’offerta pubblica di acquisto e successivo ritiro dalla quotazione. La ricostruzione è confermata da diverse fonti di mercato, tra cui un’analisi di Reuters e i report delle principali case di intermediazione pubblicati il 19 novembre 2025.

Il grande gioco della scissione in quattro pezzi

Per capire perché l’idea di un’opa su Vivendi si era fatta così concreta bisogna tornare indietro di qualche mese. A fine 2023 il gruppo aveva avviato lo studio di una scissione in quattro entità autonome, con l’obiettivo dichiarato di eliminare il “conglomerate discount” che pesava sul titolo. Il progetto è stato approvato dall’assemblea degli azionisti nel dicembre 2024 e completato il 18 dicembre dello stesso anno: Vivendi ha distribuito agli azionisti un’azione Canal+, un’azione Havas e un’azione Louis Hachette Group per ogni azione posseduta, lasciando in Borsa una Vivendi “residuale” trasformata in una holding di partecipazioni. Il quadro è stato illustrato in dettaglio nei documenti del gruppo e nei comunicati ufficiali pubblicati tra novembre e dicembre 2024.

Secondo il management, la grande operazione avrebbe dovuto far emergere meglio il valore dei singoli asset, dall’intrattenimento di Canal+ alla pubblicità di Havas fino all’editoria di Louis Hachette, separandoli dalla holding che oggi continua a detenere partecipazioni in diversi gruppi europei, dalle media company alle telecomunicazioni. Nel marzo 2025 Vivendi ha comunicato un net asset value di circa 4,8 miliardi di euro al 31 dicembre 2024, sottolineando che il titolo aveva recuperato da 2,45 a 2,84 euro dopo la scissione, nonostante un giro d’affari 2024 inferiore rispetto al 2023. I dati sono stati diffusi dalla stessa Vivendi in un comunicato del 6 marzo 2025.

Ma la narrativa della creazione di valore ha convissuto, fin dall’inizio, con la contestazione di una parte degli azionisti di minoranza, guidati dal fondo attivista Ciam, convinti che la scissione fosse stata costruita per consolidare il potere della famiglia Bolloré sulle diverse entità, aggirando le regole sull’opa obbligatoria. Le analisi critiche del fondo, contenute in diversi documenti resi pubblici nel 2024, hanno parlato apertamente di “operazione penalizzante” per i piccoli azionisti e di una governance sbilanciata a favore dell’azionista di riferimento.

Dalla vittoria di Ciam alla possibile retromarcia

Il nodo giuridico ruota intorno a una domanda chiave: Vincent Bolloré controllava o no Vivendi al momento della scissione? L’Autorità dei mercati finanziari francese (Amf), in una decisione del novembre 2024, aveva inizialmente ritenuto che non ci fosse controllo nel senso pieno previsto dal codice commerciale, nonostante la partecipazione del gruppo Bolloré si attestasse intorno al 30% del capitale.

Il 22 aprile 2025 la Corte d’appello di Parigi, chiamata a pronunciarsi su un ricorso presentato proprio da Ciam, ha ribaltato la posizione del regolatore: in una sentenza molto discussa ma considerata storica dai giuristi di diritto finanziario, i giudici hanno riconosciuto a Bolloré un controllo “di fatto” su Vivendi, sottolineando il peso della sua influenza nelle assemblee e nella nomina degli organi sociali. La decisione, ampiamente ripresa dalla stampa economica francese e da analisi specialistiche pubblicate nel maggio-giugno 2025, ha aperto la strada a una nuova valutazione da parte dell’Amf sulla necessità di un’opa.

Il 18 luglio 2025 l’Amf ha così emanato un provvedimento con cui ha stabilito che il gruppo Bolloré e Vincent Bolloré in persona avrebbero dovuto presentare, entro sei mesi, un progetto di offerta pubblica di acquisto e successiva offerta di ritiro sulle azioni Vivendi residue, con l’obiettivo finale di un delisting del titolo. L’autorità ha esplicitato che l’operazione mirava a garantire un equo trattamento agli azionisti penalizzati dalle modalità della scissione. La decisione è stata riportata dalle principali agenzie internazionali, tra cui Reuters, e dallo stesso regolatore nei comunicati ufficiali di metà luglio 2025.

Pochi giorni dopo, il 28 luglio 2025, Bolloré ha reagito annunciando ricorso contro il provvedimento dell’Amf, definendolo una conseguenza diretta della sentenza della Corte d’appello e ricordando che sia il gruppo sia Vivendi avevano già presentato ricorso alla Corte di cassazione, con udienza fissata per fine novembre 2025. Il contenuto del comunicato è stato rilanciato dalla stampa economica francese e dai siti finanziari, che hanno parlato di un braccio di ferro destinato a chiudersi proprio davanti alla Suprema Corte.

È in questo contesto che si inseriscono le indiscrezioni del 19 novembre 2025: secondo quanto riportato da Le Monde e ripreso da diverse testate internazionali, l’Avvocatura generale presso la Corte di cassazione avrebbe raccomandato di annullare o ridimensionare la portata della decisione della Corte d’appello di Parigi, aprendo lo spazio per una revisione dell’obbligo di opa. Se la Suprema Corte seguirà questo orientamento, l’operazione che il mercato considerava ormai quasi inevitabile potrebbe evaporare, con un impatto diretto sulla valutazione di Vivendi e sulle aspettative di risarcimento.

Che cosa cambia per i piccoli azionisti

Per gli azionisti di minoranza, e in particolare per il fondo Ciam che ha guidato la contestazione, il passaggio è drammatico. Dopo la sentenza della Corte d’appello, il fondo aveva iniziato a parlare pubblicamente di un potenziale indennizzo nell’ordine di 6-9 miliardi di euro, cifra che secondo le stime diffuse alla stampa economica avrebbe potuto rappresentare una compensazione per la distruzione di valore subita nella scissione. Le indiscrezioni sulla possibile svolta in Cassazione rischiano ora di ridurre drasticamente queste aspettative.

Un gestore parigino specializzato in situazioni speciali, che segue il dossier e chiede di restare anonimo, sintetizza così il sentimento diffuso tra gli investitori: “Per mesi il mercato ha prezzato l’ipotesi di un’uscita ordinata attraverso l’opa. Se quella porta si richiude, diventiamo semplici passeggeri di una holding sulla quale abbiamo poche leve di influenza”, osserva, sottolineando come il crollo del titolo abbia in poche ore cancellato miliardi di capitalizzazione.

Dal canto suo, Ciam ha lasciato intendere – secondo quanto riportato da fonti internazionali il 19 novembre 2025 – di essere pronta a proseguire la battaglia su altri fronti, ipotizzando perfino un ricorso alle corti europee in caso di esito sfavorevole in Cassazione. Non è escluso che la vicenda possa essere portata sul terreno della tutela dei diritti degli azionisti e della prevedibilità delle regole del mercato finanziario francese.

Per il piccolo azionista, il quadro che si delinea è meno roseo di quello immaginato in primavera: se l’opa sfuma, la prospettiva torna a essere quella di rimanere investitori in una holding con partecipazioni diversificate, la cui strategia è saldamente nelle mani della famiglia Bolloré. Il potenziale upside legato a un’operazione straordinaria viene sostituito da un orizzonte più lungo, fatto di dividendi modesti e della speranza che, nel tempo, il mercato riconosca valore al nuovo perimetro societario.

Il caso Bolloré e la lezione per la governance europea

La vicenda Vivendi-Bolloré va oltre il perimetro del singolo titolo. In gioco c’è l’immagine stessa della Piazza finanziaria di Parigi e, più in generale, il messaggio che l’Europa manda agli investitori internazionali sulla tutela delle minoranze. Nel giro di due anni, gli azionisti hanno assistito a una sequenza poco rassicurante: prima un regolatore che ritiene assente il controllo, poi una Corte d’appello che afferma l’esatto contrario, infine una Cassazione che, stando alle indiscrezioni, potrebbe di nuovo ribaltare il tavolo.

Un docente di diritto dei mercati finanziari di una grande università francese, interpellato dalla stampa economica, mette a fuoco il punto: “Quando gli esiti delle grandi operazioni societarie dipendono da un ping pong giuridico così intenso, il rischio è che il mercato percepisca la regola come negoziabile. E questo è il contrario di ciò che serve per attirare capitali di lungo periodo”, avverte, richiamando l’attenzione sul delicato equilibrio tra flessibilità e certezza del diritto.

Il caso Vivendi si inserisce in un momento in cui molte grandi società europee stanno valutando ristrutturazioni profonde, spin-off e quotazioni multiple per liberare valore, mentre cresce il ruolo di fondi attivisti e investitori istituzionali. Le cronache su Ciam e sulla sua battaglia contro la scissione del gruppo, documentate in diversi report tra la fine del 2024 e il 2025, raccontano di un’Europa che si scopre sempre più esposta alle logiche di shareholder activism tipiche del mondo anglosassone.

Se la Cassazione dovesse effettivamente accogliere le richieste di Bolloré, molti analisti si chiederanno fino a che punto la combinazione tra partecipazioni di minoranza rafforzate, patti parasociali, influenza sui vertici e scissioni mirate consenta di esercitare un controllo sostanziale sulle società senza assumersene fino in fondo gli oneri, a partire dall’obbligo di offrire un’uscita agli altri azionisti.

Un verdetto che può riscrivere le regole del gioco

La decisione definitiva della Corte di cassazione francese, attesa per la fine di novembre 2025, rischia quindi di essere una vera sentenza-pilota per i prossimi anni. Un esito favorevole a Bolloré potrebbe essere letto come un via libera a strategie complesse di ristrutturazione, purché formalmente aderenti alle norme, ma meno generose nei confronti delle minoranze. Un esito sfavorevole, al contrario, rafforzerebbe l’idea di una Francia che pretende un’applicazione più rigorosa delle regole sull’opa obbligatoria, con implicazioni su tutte le operazioni future che coinvolgono azionisti di controllo “di fatto”.

Nel frattempo, però, il giudizio dei mercati è già scritto nel grafico del titolo Vivendi: il crollo di novembre 2025 fotografa alla perfezione la frustrazione di chi aveva scommesso su un’operazione straordinaria e ora si trova a fare i conti con una realtà molto diversa. Per gli investitori istituzionali, ma anche per le autorità di vigilanza europee, sarà inevitabile chiedersi se questo caso non imponga una riflessione più ampia su come conciliare la libertà dei grandi gruppi di riorganizzarsi con il diritto di chi detiene una quota minoritaria a non subire sorprese lungo la strada.

Dietro la sigla un po’ fredda di “opa obbligatoria” si nasconde, in fondo, una questione molto semplice: fiducia. Quella degli investitori in regole chiare, prevedibili, uguali per tutti. La partita Vivendi-Bolloré non dirà solo chi ha vinto il braccio di ferro tra un grande azionista e un fondo attivista, ma quale modello di mercato i principali Paesi europei intendono offrire al mondo nei prossimi anni. 

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