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Rincari alimentari dal 2019: boom dei prezzi che pesa sui bilanci

- di: Bruno Coletta
 
Rincari alimentari dal 2019: boom dei prezzi che pesa sui bilanci
Rincari alimentari dal 2019: boom dei prezzi che pesa sui bilanci
Un’esplosione silenziosa nel carrello: burro e olio impennati, la spesa cresce ma il reddito no.

I rincari degli alimentari registrati dal 2019 a oggi sono diffusi e, per la gran parte delle voci, a due cifre. Nel paniere quotidiano spiccano aumenti come burro +60,1%, olio d’oliva +53,2%, riso +52%, cacao e cioccolato in polvere +51,4%, caffè +47,6%, olio di semi +43,6%, patate +40,5%. E ancora: zucchero +37,5%, verdura fresca +36,7%, uova +34,3%, pollame +32,8%, frutta fresca +32%, acque minerali +30,9%, formaggi e latticini +29,8%, pasta +28,3%, pane +28,1%, yogurt +27,9%, bibite analcoliche +27,8%, carne suina +27,1%, latte fresco +24,9%, carne bovina +24,9%, pesci e prodotti ittici +24,2%, alimenti per bambini +23,6%, farina e altri cereali +23,3%, birra +17,7%, mentre il vino limita la crescita a un +2,8%.

Rincari alimentari, la pressione sui portafogli è reale

La traiettoria dei prezzi alimentari ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie. In molti casi si è tradotta in tagli alla qualità o nella ricerca sistematica di promozioni e discount. Il dato più evidente è che la spesa cresce anche quando i volumi scendono. Consumatori e associazioni lo riassumono con una constatazione netta: “È una magra consolazione.” Così viene definito il confronto internazionale quando, pur andando meglio di altri Paesi su alcune voci, il conto alla cassa resta salato.

Un aspetto spesso trascurato è che il rincaro non riguarda solo i beni primari, ma anche le bevande e i prodotti trasformati. Questo ha un impatto diretto sulla vita sociale: il prezzo più alto di una birra, di una bibita o di uno yogurt riduce i momenti di convivialità, i consumi fuori casa e le abitudini culturali legate al cibo. È un cambiamento che va oltre l’economia e tocca il tessuto delle relazioni quotidiane.

Contesto europeo: il confronto non consola

Il quadro europeo mostra come l’Italia non sia un’eccezione. Altri grandi Paesi hanno sperimentato dinamiche simili, in alcuni casi più accentuate, ma questo non alleggerisce la pressione domestica: prezzi già alti in partenza e salari stagnanti amplificano l’impatto sul carrello. In sintesi: meno margine di manovra per le famiglie e più rinunce nella lista della spesa.

In Francia, dove l’aumento è stato più contenuto, il governo ha varato piani di sostegno diretti alle famiglie a basso reddito. In Germania e Spagna, invece, il dibattito è acceso sul ruolo della grande distribuzione, accusata di speculare sui rincari delle materie prime. In Italia, la discussione è rimasta più frammentata, con iniziative temporanee come i “trimestri anti-inflazione”, utili ma limitati rispetto alla portata del fenomeno.

Le cause dietro la salita: clima, guerra e materie prime

La crescita è l’esito di un combinato disposto di fattori. Il clima ha colpito rese e raccolti: ondate di calore, siccità, nubifragi hanno reso più incerta la produzione agricola, con effetti acuti su cacao, caffè e olivicoltura. Le tensioni geopolitiche hanno spinto in alto energia e noli, ridisegnando le catene di fornitura. Nel mezzo, l’inflazione dei costi ha attraversato l’intera filiera, dal campo allo scaffale, lasciando ai listini l’unica valvola di sfogo.

Non va dimenticato il ruolo della speculazione finanziaria sulle materie prime: i contratti future su grano, riso e zucchero hanno registrato picchi straordinari nei momenti di tensione internazionale. Questo ha alimentato ulteriormente l’instabilità, facendo sì che il prezzo reale pagato dai consumatori fosse gonfiato da dinamiche di mercato che poco hanno a che fare con il costo effettivo di produzione.

Effetti sulle famiglie: tagli e rinunce concrete

Tra il 2019 e gli anni più recenti si sono visti consumi reali in calo su alcune categorie: oli e grassi risultano tra i più penalizzati, seguiti da pesce e verdura. In parallelo, cresce l’orientamento verso i discount e i formati convenienza, mentre prodotti identitari come caffè e tè mostrano una sorprendente capacità di resistenza grazie al loro valore simbolico nella routine quotidiana.

Molte famiglie raccontano di aver ridotto la frequenza di acquisto di carne bovina, preferendo tagli più economici o sostituendo con legumi. Altri hanno eliminato completamente le acque minerali, tornando all’acqua del rubinetto, e in diversi casi la spesa per i figli piccoli ha spinto i genitori a cercare alternative agli alimenti per bambini, spesso più cari della media.

La psicologia del consumatore gioca un ruolo cruciale: ogni aumento genera un effetto domino sulle scelte. Non si tratta solo di numeri, ma di rinunce che modificano lo stile di vita, con un impatto che potrebbe avere ripercussioni anche sul piano della salute, se la qualità del cibo acquistato tende a peggiorare.

La prospettiva delle imprese

Non solo le famiglie, ma anche le imprese vivono la stessa pressione. I produttori agricoli denunciano margini ridotti, mentre i trasformatori devono fare i conti con l’aumento dei costi energetici e dei trasporti. Molti piccoli produttori hanno scelto di assorbire parte dei rincari per non perdere i clienti, ma ciò ha messo a rischio la sostenibilità economica delle loro aziende.

La grande distribuzione, dal canto suo, si trova nel mirino: accusata di aver scaricato troppo velocemente gli aumenti sui consumatori, ma anche di aver usato il proprio potere contrattuale per comprimere i margini dei fornitori. Questo squilibrio mette in luce la fragilità di una filiera dove il peso delle trattative non è mai distribuito equamente.

Un equilibrio ancora fragile

La spirale dei prezzi alimentari non è una parentesi ma un test di resilienza per famiglie e filiere. I livelli si sono stabilizzati rispetto ai picchi, ma restano storicamente elevati. La via d’uscita passa per politiche sul potere d’acquisto, investimenti in efficienza e logistica, e una strategia di adattamento climatico che riduca la volatilità a monte. Solo così il carrello tornerà a essere un indicatore di benessere, non un bollettino di sacrifici.

Se i prossimi anni vedranno una maggiore attenzione alle filiere corte, al consumo consapevole e a politiche più incisive sul fronte dei redditi, l’Italia potrà trasformare questa crisi in una svolta. Diversamente, i rincari alimentari resteranno il simbolo di un Paese che paga caro il suo cibo senza riuscire a garantirsi un futuro di maggiore equità.

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