Prezzi giù, Opec espande l’offerta, droni sulle raffinerie.
Il 2025 ha aperto uno squarcio sul vero stato dell’industria petrolifera russa: margini compressi, costi in salita e un contesto geopolitico che rende più difficile vendere barili e prodotti raffinati. Rosneft, barometro dell’intero sistema, archivia un primo semestre di profitti in caduta e flussi di cassa più magri, con ripercussioni su investimenti, dividendi e programmi industriali.
Perché i conti affondano
La dinamica è il risultato di una combinazione rara di fattori avversi. Il prezzo medio del greggio ha perso slancio rispetto ai picchi precedenti, mentre l’Opec ha ampliato l’offerta in modo selettivo, erodendo gli spazi commerciali di Mosca. In parallelo, il rafforzamento del rublo limita la redditività delle esportazioni espresse in dollari e le sanzioni ampliano gli sconti necessari per piazzare Urals e derivati su mercati più complessi e lontani.
A tutto questo si sommano costi logistici e assicurativi più elevati, un accesso più difficile a navi e servizi finanziari e la necessità di sostenere prezzi interni amministrati che comprimono i margini di raffinazione. Il risultato è un mix esplosivo per i conti, che mette in discussione i piani pluriennali più ambiziosi.
Raffinerie sotto pressione
Gli attacchi con droni hanno colpito impianti chiave, causando fermate temporanee, riduzioni di capacità e interventi manutentivi non pianificati. Ogni interruzione produce un duplice effetto: scarsità di carburanti nel mercato interno e contrazione delle esportazioni di diesel e benzine, proprio mentre i margini globali diventano più volatili. L’industria reagisce con rinegoziazioni delle coperture assicurative e piani di ripristino più rapidi, ma la resilienza operativa ha un costo crescente.
Gli effetti a catena sul mercato interno
Quando la raffinazione rallenta, il governo deve scegliere tra sostenere i prezzi al consumo o garantire la redditività delle compagnie. Negli ultimi mesi hanno prevalso misure per contenere i rincari su benzina e diesel, ma ciò ha compresso ulteriormente i margini e reso più difficile finanziare la manutenzione straordinaria. Il rischio è una spirale di sottoinvestimento che, a medio termine, potrebbe pesare su affidabilità e sicurezza degli impianti.
Export, sconti e nuove rotte
Per tenere i volumi, Rosneft e gli altri operatori hanno accettato sconti più profondi e rotte più lunghe verso acquirenti disposti a trattare, spesso con pagamenti più lenti e richieste di garanzie aggiuntive. La cosiddetta shadow fleet aiuta a spostare i barili, ma a costi assicurativi e tecnici più alti. In prospettiva, la diversificazione dei porti e degli acquirenti può limitare i danni, ma non elimina il problema principale: la compressione strutturale dei margini.
Le contromosse possibili
Il ventaglio di opzioni è noto: tagli selettivi alla produzione per sostenere i prezzi, priorità agli impianti più efficienti, revisione dei regimi fiscali per alleggerire il peso nei periodi di bassa redditività e più investimenti mirati in manutenzioni critiche. Una strategia credibile prevede anche una maggiore integrazione verticale: dalla produzione alle vendite al dettaglio, per stabilizzare i flussi di cassa lungo la catena del valore.
Scenari: stabilizzazione o nuova volatilità
Molto dipenderà dalla tenuta della domanda globale nella seconda parte dell’anno e dalle decisioni Opec sulla gestione dell’offerta. Se i tagli torneranno al centro della scena e la domanda reggerà, Rosneft potrà stabilizzare i conti. In caso contrario, servirà una cura più profonda, con stop a progetti marginali e un riassetto commerciale ancora più spinto. Il quadro resta fragile: la volatilità geopolitica può amplificare movimenti di prezzo e interrompere catene logistiche già stressate.