Tra il 15% “di tregua”, minacce al 30% e ricorsi in tribunale, Roma cerca margini per salvare export e filiere strategiche.
L’Europa ha evitato l’onda d’urto del 30% generalizzato, ma non ha ottenuto una vera tregua: l’aliquota di base al 15% sugli scambi con gli Stati Uniti colpisce auto, semiconduttori, farmaci e buona parte del manifatturiero. “15% is not to be underestimated, but it is the best we could get”, ha spiegato Ursula von der Leyen il 27 luglio. In altre parole, non è pace: è gestione del danno.
Un equilibrio scambiato con energia
Per ottenere prevedibilità, l’Ue ha messo sul tavolo acquisti di energia statunitense (GNL e combustibili nucleari) per tre anni e uno schema di zero-for-zero su categorie selezionate (aeronautica, chimica di nicchia, generici). “Today’s deal creates certainty in uncertain times, delivers stability and predictability”, ha sintetizzato von der Leyen. Il messaggio: paghiamo con l’energia per guadagnare tempo su filiere e occupazione.
Il paradosso legale
La Corte d’Appello Usa ha frenato l’uso estensivo dell’“emergenza nazionale” per imporre dazi, ma ha lasciato il sistema in vigore in attesa del possibile ricorso alla Corte Suprema. Per imprese e mercati significa un limbo regolatorio: aumentano i vincoli giuridici, ma le tariffe continuano a mordere.
Il conto per il made in Italy
Secondo analisi recenti, nove comparti in cui l’Italia guida l’export Ue verso gli Usa valgono 15,2 miliardi su 67,3: meccanica di precisione, moda, agroalimentare di qualità, arredo, gomma-plastica, nautica, farmaceutica, apparecchi elettrici, bevande. Con il 15% fisso il danno medio annuo stimato per l’export italiano è tra 7 e 8 miliardi: non è un colpo mortale, ma è un’emorragia di margini e competitività.
Auto e aerospazio sotto pressione
Nel settore auto, i conti dei grandi gruppi europei segnalano margini sotto stress tra rallentamento cinese e barriere Usa, con l’ecosistema italiano (fornitori, design, ingegneria) agganciato alla stessa locomotiva. Nell’aerospazio, alcuni Paesi europei stanno dirottando ordini verso fornitori Ue per evitare attriti: per l’Italia (aerostrutture, avionica, MRO) è una finestra d’opportunità che richiede politiche industriali proattive.
La trincea delle pmi: addio “de minimis”
La sospensione della franchigia “de minimis” dal 29 agosto ha azzerato la facilità con cui migliaia di pmi spedivano campionature e micro-ordini: ogni invio è a tariffazione piena. In parallelo, diversi operatori logistici applicano balzelli fissi per pacco all’ingresso negli Usa (80, 160 o 200 dollari), legati all’aliquota del Paese d’origine. Per il made in Italy di nicchia è un salasso sul carrello prima ancora che sullo sdoganamento.
Roma si muove
La Farnesina ha attivato la Task Force Dazi. “L’intesa sui dazi è un passo importante per dare stabilità agli scambi e alle nostre industrie strategiche”, ha affermato Antonio Tajani. A metà luglio lo stesso ministro frenava gli entusiasmi: “L’obiettivo finale è lo zero a zero, ma non credo si possa realizzare entro l’1 agosto”. In parallelo, Bruxelles mantiene contromisure pronte se la pressione tornasse al 30%.
Cosa fare adesso
Assicurare le pmi contro il rischio dazi; investire in intelligenza doganale (classificazioni, origine preferenziale, rotte “pulite”); coordinare Sace-Simest-Ice per diversificare mercati alternativi; legare la “moneta” energetica a ritorni industriali in Italia (idrogeno, porti GNL, componentistica). Il protezionismo è ormai strutturale: l’adeguamento deve esserlo altrettanto.