Draghi in Senato difende il governo, ma ne bacchetta i partiti

- di: Redazione
 
Chi si aspettava - o sperava - in un discorso prudente, in un appello all'unione di tutti, in una comprensione delle istanze di coloro che, sino a ieri l'altro, sostenevano il suo governo e hanno poi deciso di defilarsi, il presidente del Consiglio ha risposto con un discorso affatto scontato, incalzando quelli che oggi dissentono e dicendo loro di confrontarsi non con lui, ma con gli italiani.
Il primo capitolo della storia di queste complesse ore - tra Senato e Camera, chiamati a pronunciarsi sul futuro non tanto di Draghi, quanto del governo e della coalizione, nell'originario formato - è stato un intervento molto fermo e asciutto nei toni, quasi ultimativo nei contenuti, quando ha messo i partiti della vecchia maggioranza davanti alle loro responsabilità, ampliando la platea dei destinatari del suo messaggio non solo a quelli scontati (i Cinque Stelle), ma anche a chi (leggi Lega) ha manifestato un grande malcontento per le vicende dell'esecutivo, utilizzando argomenti che sembravano essere stati messi da parte.

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Quella che doveva essere una comunicazione a difesa del suo governo, Draghi l'ha trasformata in una complessa argomentazione di quel che, per lui, è stato fatto e di quello che si deve ancora fare, a patto però che tutti quelli che ritengano di farlo aderiscano convintamente al suo ''manifesto''.
Draghi, a dirla tutta, ne ha avuto per tutti. Da chi, non votando la fiducia, ha compiuto una impegnativa scelta politica, facendo venire a mancare l'afflato unitario su cui era nato il suo governo, a chi, appena poche ore fa, ha cercato di condizionarne le mosse future, chiedendo la testa di due ministri (Lamorgese e Speranza) quando forse c'erano altre priorità.

Il presidente del Consiglio (che aveva seduto alla sua destra Di Maio e alla sua sinistra Guerini) ha raccolto una dozzina di applausi, ad alcuni dei quali - oltre ai grillini - non hanno partecipato molti senatori della Lega, quasi a segnare una attenzione ''diversa'', più sfumata rispetto a quella che forse ci si attendeva.
L'intervento del presidente del consiglio è sembrato frutto di più stesure e limature, conseguenza anche della fluidità della situazione che gli si è creata intorno e che è mutata con il passare delle ore, tra le convulsioni interne dei Cinque Stelle e l'inattesa risposta dell'opinione pubblica, schieratasi in larghissima parte con Draghi. Cosa che lui - con un pizzico di compiacimento - ha rimarcato, ricordando soprattutto due settori che lo hanno appoggiato e che per lui sono indicativi di come il futuro dell'esecutivo sia seguito dalla gente. Il primo è quello che ha visto confluire compattamente oltre duemila sindaci a favore della prosecuzione dell'esperienza di governo; il secondo ha raccolto gli operatori del settore sanitari, gli eroi della guerra alla pandemia.

Parlando davanti ad uditorio in cui pure si agitano idee che vorrebbero atteggiamenti diversi nei confronti del conflitto in Ucraina, Draghi ha fatto capire che, per quando lo riguarda, non ci possono essere soluzioni diverse dallo stare accanto a Kiev, sostenendone concretamente la battaglia di libertà. L'ex governatore della Bce ha avuto parole molto dure quando, parlando della situazione energetica in cui si trova anche l'Italia a causa della guerra scatenata dai russi, ha detto che non si può parlare di indipendenza in questo campo facendo però le barricate contro impianti, come i gassificatori, che ci potrebbero consentire di affrancarci da dipendenze che oggi sono diventate imbarazzanti.

Ora è abbastanza chiaro che per Mario Draghi comincia l'attesa, non tanto sull'esito della fiducia, quanto su quali dovranno essere le sue mosse successive, posto che i Cinque Stelle - per bocca, si badi bene, di Paola Taverna e non del capogruppo al Senato o dello stesso Giuseppe Conte - hanno annunciato che non la voteranno. Dando un'ulteriore conferma che ormai i Cinque Stelle sono allo sbando perché decisioni del genere, che preludono ad una uscita questa volta ufficiale dalla maggioranza, non possono essere affidate a chi non ne ha titolo.

Draghi deve capire, ad esempio, come arriverà l'appoggio della Lega, ovvero se Salvini si impunterà chiedendo la testa di due ministri oppure terrà conto di chi, dentro il partito, non vede alternative a Draghi.
Il sì del Pd è già arrivato, con Enrico Letta: ''Se eravamo già in questi giorni convinti di rinnovare la fiducia al governo Draghi siamo ancora più convinti di farlo dopo averlo ascoltato''.

Una certezza granitica, forse espressa con una velocità forse esagerata. Perché, a sentire l'ultima frase con cui Draghi ha chiuso, qualcosa delle condizioni che lui pone per la riconferma è pure venuta fuori: ''Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese. I partiti e voi parlamentari — siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito? Siamo qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, perché e solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Questa risposta a queste domande non la dovete dare a me, ma la dovete dare a tutti gli italiani''.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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