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Draghi: “Europa irrilevante, svegliamoci o spariremo”

- di: Bruno Coletta
 
Draghi: “Europa irrilevante, svegliamoci o spariremo”
Draghi: Europa irrilevante, svegliamoci o spariremo
Al Meeting di Rimini l’ex premier smonta le illusioni di Bruxelles: “Il 2025 segna la fine della nostra influenza”. Attacco alla lentezza dei 27, all’inerzia politica e ai dazi subiti da Trump. “Solo un’Europa unita può sopravvivere”.

(Foto: Mario Draghi durante il suo intervento al Meeting di Rimini).

Una diagnosi spietata al cuore dell’Europa

Mario Draghi non ama i giri di parole. Al Meeting di Comunione e Liberazione, davanti a una platea attentissima, ha affondato il colpo: “Il 2025 sarà ricordato come l’anno in cui è evaporata l’illusione che l’Europa conti”. Una frase che fotografa l’irrilevanza del Vecchio continente sulla scena globale. Gaza, Ucraina, Iran: dossier cruciali nei quali Bruxelles è rimasta spettatrice, incapace di incidere. A questo si aggiungono i dazi commerciali imposti da Donald Trump, accettati quasi senza protesta.

L’Europa, ha insistito Draghi, si è rassegnata a un ruolo marginale. In un mondo in cui non prevalgono più le regole condivise ma la forza militare ed economica, i 27 Paesi membri sembrano non avere strumenti né volontà politica per reagire. “Non siamo guardati con simpatia, né dagli Stati Uniti né dalla Cina. E senza un salto di qualità saremo destinati a sparire”, ha scandito l’ex premier italiano, accolto da un lungo applauso.

Trump e la “sveglia brutale” per l’Ue

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è stato definito da Draghi “una sveglia brutale”. Le prime mosse del nuovo presidente americano hanno riportato le relazioni transatlantiche a un clima da guerra commerciale: dazi a raffica, richieste di aumentare le spese per la difesa fino a livelli insostenibili, atteggiamenti prepotenti nei negoziati bilaterali. “Non si tratta di una parentesi”, ha osservato Draghi, “ma di una ridefinizione degli equilibri globali che ci ha trovati del tutto impreparati”.

Per l’ex governatore della Bce, l’Europa ha commesso un errore capitale: aver creduto che il suo peso economico bastasse a garantirle influenza geopolitica. Non è così. Senza una difesa comune, senza una politica estera coordinata, senza strumenti economici condivisi, Bruxelles è rimasta a guardare mentre Washington e Pechino dettano le regole del gioco.

La tentazione dei nazionalismi e il rischio della frammentazione

Draghi ha voluto smontare un equivoco diffuso: che il ritorno alle sovranità nazionali possa restituire forza ai singoli Stati. “Distruggere l’integrazione europea ci esporrebbe ancor di più”, ha detto con fermezza. I populismi che sventolano il ritorno alla lira, al franco o al marco tedesco, secondo l’ex premier, non tengono conto della realtà: da soli, i Paesi europei sono troppo piccoli per reggere l’urto della competizione globale.

Il rischio, avverte Draghi, è un’Europa divisa in tanti micro-interessi, facile preda delle potenze maggiori. “Non basta la dimensione economica per avere potere geopolitico”, ha ripetuto. Serve unità d’azione, altrimenti “le circostanze diventeranno insostenibili”.

Debito comune e grandi progetti: l’unica via d’uscita

Tra le ricette proposte, Draghi ha rilanciato un’idea che aveva già sostenuto negli anni passati: la creazione di un debito comune europeo. Solo così, a suo avviso, si potranno finanziare i progetti giganteschi che attendono il continente: la difesa, la transizione energetica, l’intelligenza artificiale, la sicurezza delle catene di approvvigionamento.

Un riferimento diretto è arrivato al Rapporto sulla competitività europea, da lui presentato nel settembre 2024 su incarico della Commissione: in quel documento Draghi stimava in 750-800 miliardi di euro l’anno gli investimenti necessari per non scivolare in una stagnazione irreversibile.

Il suo appello trova oggi nuove conferme. In giugno, François Villeroy de Galhau, governatore della Banque de France, ha chiesto di fissare entro il 1° gennaio 2028 obiettivi precisi per la sovranità finanziaria europea. Economisti come Thomas Piketty insistono da anni sulla necessità di mutualizzare parte del debito per liberare risorse comuni.

Abbattere le barriere interne per aumentare la produttività

Non solo debito. Draghi ha richiamato anche un’analisi del Fondo monetario internazionale: se l’Ue rimuovesse le barriere interne che ancora frammentano il suo mercato unico, la produttività del lavoro crescerebbe del 7% in sette anni. Un salto enorme, in grado di riportare il continente sulla traiettoria della crescita. Ma per arrivarci servono scelte coraggiose: uniformare normative, superare veti nazionali, costruire una vera politica commerciale comune.

Regole obsolete, decisioni lente: il tallone d’achille europeo

Draghi non ha risparmiato critiche all’architettura istituzionale dell’Ue. Le ha definite “fragili e obsolete”, incapaci di difendere i valori stessi su cui l’Unione è stata fondata. “Non è un problema di principi, ma di strumenti”, ha affermato. I processi decisionali a 27, i compromessi infiniti, le procedure burocratiche rallentano ogni risposta.

Eppure, ha ricordato, nei momenti di emergenza l’Europa ha dimostrato di saper innovare: dal programma vaccini comune al varo del Next Generation EU. Perché allora non replicare quell’audacia nelle sfide strutturali? “Dobbiamo trasformare lo scetticismo in azione”, ha insistito, rivolgendosi in particolare ai giovani presenti in sala.

L’appello ai giovani: dal disincanto alla responsabilità

La parte conclusiva del discorso è stata un invito diretto alle nuove generazioni. Draghi sa che proprio tra i giovani cresce lo scetticismo verso Bruxelles, vista come un apparato distante e inefficiente. “Capisco lo scetticismo” – ha detto – “ma non cedete al cinismo. Fate sentire la vostra voce, trasformate la critica in proposta”.

Per lui, l’europeismo non è un atto di fede, ma una scelta pragmatica. Non a caso ha citato Helmut Schmidt: “Se cerchi una visione, vai dall’oculista”. L’Europa che immagina Draghi è una costruzione concreta, fatta di strumenti comuni, decisioni rapide, capacità di proteggere cittadini e imprese.

Un continente al bivio: tra azione e irrilevanza

Il messaggio finale è stato netto: l’Europa non ha più tempo. Se non ritroverà unità, rischia di essere schiacciata dalla competizione tra Stati Uniti e Cina, condannata a un ruolo di secondo piano. Se invece avrà il coraggio di riformarsi – debito comune, politica estera e di difesa condivise, abbattimento delle barriere interne – potrà ancora giocare un ruolo globale.

Al Meeting di Rimini, Draghi ha lanciato l’allarme con la sua consueta freddezza analitica ma anche con toni insolitamente appassionati. Un discorso che non resterà senza eco. Ma resta la domanda cruciale: i leader europei, divisi tra veti e calcoli elettorali, sapranno cogliere l’occasione? O prevarrà l’ennesimo rinvio, condannando l’Unione a sprofondare nell’irrilevanza evocata dall’ex premier?

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