Quella che doveva essere una dichiarazione di guerra commerciale senza esclusione di colpi si sta trasformando in un più cauto gioco di strategia. Donald Trump, che aveva promesso dazi globali a partire dal 2 aprile – ribattezzato con enfasi ”Liberation Day” – sembra ora frenare, almeno in parte. Fonti vicine all’amministrazione rivelano che settori cruciali come automobili, farmaci e semiconduttori potrebbero essere temporaneamente risparmiati, mentre restano nel mirino i ”dirty 15”, i 15 Paesi con i peggiori squilibri commerciali verso gli USA.
Ma perché questa apparente marcia indietro? Sta cedendo alle pressioni di Wall Street? Si è reso conto che una guerra commerciale totale danneggerebbe anche l’America? O è solo una mossa tattica per guadagnare tempo e negoziare accordi più vantaggiosi?
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Le reazioni dei mercati e il peso della Fed
L’indiscrezione di un possibile alleggerimento dei dazi ha dato ossigeno alla Borsa di New York, che dopo quattro settimane di cali ha registrato un rimbalzo. Il Dow Jones è salito del 2,3%, mentre lo S&P 500 ha guadagnato l’1,8%.
“I mercati stavano già prezzando uno scenario da incubo: inflazione alle stelle, crescita a picco e supply chain ancora più frammentate”, ha spiegato Nouriel Roubini, economista noto per le sue previsioni pessimiste, in un’intervista a CNBC. “Se Trump davvero modera i dazi, eviteremo il peggio, ma la minaccia rimane”.
Anche la Federal Reserve ha giocato un ruolo. Jerome Powell, nel suo ultimo discorso, ha lasciato intendere che un’escalation protezionista avrebbe costretto la banca centrale a mantenere i tassi alti più a lungo, rischiando di soffocare la crescita.
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Perché Trump sta rallentando? Tre possibili spiegazioni
1. Il Fattore Wall Street – Trump, che ha sempre misurato il suo successo sul rendimento dei mercati, potrebbe aver capito che una guerra commerciale totale spaventerebbe gli investitori. “Non può permettersi un crollo di Borsa”, ha detto Steve Mnuchin, ex Segretario al Tesoro, in un’analisi per Fox Busines.
2. L’Industria americana spinge per un ripensamento – Le Big Three automobilistiche (GM, Ford, Stellantis) hanno fatto pressioni per evitare dazi sulle auto, che aumenterebbero i costi di produzione. Anche le aziende farmaceutiche, che dipendono da ingredienti esteri, temono rincari.
3. La difficoltà di rilocalizzare la produzione – Trump aveva promesso che i dazi avrebbero riportato le fabbriche in America, ma molti analisti dubitano che sia realistico. “Non si ricostruisce in pochi mesi una catena del valore smantellata in 30 anni”, ha osservato Larry Summers, ex Segretario al Tesoro, in un editoriale sul Washington Post.
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Chi Sono i “Dirty 15” e cosa rispondono?
La lista nera include:
• Cina (deficit commerciale USA: 300 miliardi $)
• Unione Europea (225 miliardi $, con Germania e Italia in prima linea)
• Messico (175 miliardi $)
• Seguono Vietnam, Taiwan, Giappone e Corea del Sud.
La Germania ha già avvertito che risponderà con dazi speculari. “Se gli USA colpiscono le nostre auto, noi faremo lo stesso con i loro prodotti agricoli e tecnologici”, ha dichiarato ieri Robert Habeck, ministro dell’Economia tedesco, in una conferenza stampa.
La Cina, dal canto suo, mantiene un tono più freddo ma minaccia ritorsioni mirate. “Siamo pronti a difendere i nostri interessi”, ha detto Wang Wentao, ministro del Commercio cinese, in un’intervista a Xinhua.
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Il caso Venezuela: una mossa più politica che economica
Mentre su alcuni fronti Trump sembra ammorbidirsi, su altri resta durissimo. Il blocco del 25% sul petrolio venezuelano, giustificato come misura anti-immigrazione, è visto da molti come un tentativo di indebolire il regime di Maduro.
“È una misura estrema che colpirà soprattutto Paesi terzi, come India e Cina”, ha commentato Lisa Viscidi, esperta di energia dell’Inter-American Dialogue.
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Cosa aspettarsi ora?
Alcuni scenari possibili:
• Trump annuncia dazi solo su alcuni settori, rinviando il resto (ipotesi più probabile).
• Si apre una fase di negoziati con UE e Cina per evitare l’escalation.
• I mercati continuano a oscillare finché non ci sarà chiarezza.
“Trump è imprevedibile, ma anche pragmatico”, ha detto Ian Bremmer, presidente dell’Eurasia Group. “Se capisce che i dazi gli costano più consensi di quanti gliene diano, cambierà ancora strategia”.