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Dazi alle porte, l’Europa sotto pressione

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Dazi alle porte, l’Europa sotto pressione

Il tempo della trattativa sta per finire. Lo ha detto senza giri di parole il segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent: “Se non ci sarà un’intesa con l’Unione europea, i dazi torneranno automaticamente ai livelli di aprile. Scatteranno dal primo agosto.” Un messaggio chiaro, che sa di ultimatum e che scuote i tavoli già tesi delle relazioni commerciali transatlantiche. Gli Stati Uniti, in pieno riassetto strategico dopo il ritorno alla presidenza di Donald Trump, puntano ora a rinegoziare l’intero equilibrio doganale costruito negli anni post-pandemia.

Dazi alle porte, l’Europa sotto pressione

La minaccia di nuove tariffe non è un’esercitazione. Secondo fonti vicine al Tesoro, sono già partite le lettere indirizzate a dodici partner commerciali, tra cui Francia, Germania, Italia, Spagna e Paesi Bassi. È il segnale che la macchina si è messa in moto. E che senza un cambio di passo a Bruxelles, l’estate potrebbe aprirsi con un nuovo fronte di tensione. Dopo l’Ucraina, il Medio Oriente e Taiwan, ora anche il commercio torna a essere geopolitica.

Progressi sì, ma non basta: il tempo si stringe

Bessent ha ammesso che “ci sono stati progressi”, ma li ha definiti “insufficienti”. Washington vuole garanzie sulla tutela del mercato interno, sulla reciprocità nei settori strategici e sulla neutralità delle norme ambientali che, viste da oltre Atlantico, penalizzerebbero le aziende americane. Ma non è solo una questione economica. L’amministrazione Trump considera il commercio uno strumento di pressione politica. E il messaggio all’Europa è inequivocabile: basta indulgenze, ora si torna al bilanciamento dei conti.

L’Unione europea, da parte sua, teme che i nuovi dazi colpiscano settori già indeboliti: metallurgia, automotive, agroalimentare. I commissari cercano una mediazione che salvi almeno i comparti più esposti, ma sanno che con Trump alla Casa Bianca le logiche multilaterali non bastano. Serve una risposta politica. E serve in fretta.

Trump rilancia la sfida: “L’America party è la vera opposizione”

Nel giorno in cui il Tesoro invia le sue lettere d’avvertimento, Trump trova anche il tempo per una stoccata politica interna. Elon Musk ha annunciato la fondazione dell’“America Party”, un nuovo soggetto politico che si propone di rompere il duopolio tra repubblicani e democratici. Il presidente Stati Uniti liquida l’iniziativa come “una cosa ridicola”, ma il segnale è chiaro: la corsa per il 2026 è già iniziata e ogni spazio, anche il più marginale, può diventare terreno di scontro.

La strategia commerciale di Trump si muove anche sul piano elettorale. Il messaggio ai produttori americani è forte: la Casa Bianca sta con voi, contro l’Europa, contro la Cina, contro chiunque minacci la bilancia commerciale. Ma dietro la retorica protezionista si muovono interessi precisi: riportare la manifattura a casa, spingere le aziende tech verso l’autonomia strategica, indebolire i concorrenti senza sparare un colpo.

Bruxelles in cerca di una sponda: il nodo tedesco

A Bruxelles, intanto, si cerca una sponda. Ma le divisioni interne all’Unione rallentano la reazione. La Germania, zavorrata dal calo dell’export e dalla crisi dell’automotive, spinge per una trattativa rapida. La Francia è più cauta. L’Italia cerca di restare in equilibrio. E i Paesi del Nord chiedono di non sacrificare l’agroalimentare. La Commissione sta valutando una risposta comune, ma il tempo stringe e l’America ha già acceso il cronometro.

Non è solo una questione di tariffe. È il segno che il multilateralismo che ha retto l’ordine commerciale globale per trent’anni sta scricchiolando. Ogni dazio, ogni lettera inviata, è un tassello in una partita più grande. E se l’Europa non troverà presto una voce unica, il rischio è che venga trattata da Washington non come alleato, ma come cliente.

Il silenzio di Papa Leone e l’economia dell’equilibrio

Da Roma, Papa Leone osserva. Non ha commentato apertamente il tema dei dazi, ma nei suoi recenti interventi ha parlato spesso di “giustizia tra i popoli”, evocando un’economia “non fondata sul vantaggio ma sull’equilibrio”. Parole che sembrano scritte per un tempo passato, ma che oggi suonano come ammonimenti.

Mentre i grandi tornano a giocare con le regole, qualcuno ricorda che dietro ogni dazio c’è un contadino, un operaio, una famiglia. E che il commercio, come la guerra, produce feriti. Solo che nessuno li chiama profughi.

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